23.09.2020-blog-munogu-cover

Minimizzare il contatto fisico e massimizzare le interazioni contactless

Minimizzare il contatto fisico e massimizzare le interazioni contactless è l’obiettivo principale delle organizzazioni. Questa priorità ha toccato tutti i settori e di sicuro stiamo assistendo ad un cambiamento senza precedenti che ha implicazioni concatenate a tutti i livelli.

La crescente attenzione sui rischi legati alla privacy e cybersecurity ad esempio è una diretta conseguenza di una massiccia transizione dalle azioni basate sulla presenza o contatto fisico alle modalità di azione touchless o basate su riconoscimento vocalericonoscimento facciale tramite computer vision.

Questa transizione forzata ha prodotto una evangelizzazione di massa sui vantaggi legati all’adozione di queste tecnologie, ha generato un popolo di entusiasti e una controparte altrettanto numerosa di persone molto sensibile rispetto a temi come sicurezza del dato e privacy.
Le tecnologie basate sulla computer vision e AI implicano la trasformazione e interpretazione di immagini reali, azioni o voci in dati sulla cui analisi si leva sempre il dubbio di liceità.

In Italia ad esempio pur essendoci una buona predisposizione ad accogliere pratiche touchless in maniera permanente rimane invece forte la resistenza rispetto al riconoscimento facciale se non è strettamente legato a specifiche necessità di identificazione.
Secondo una ricerca infatti il 55% dei consumatori intervistati in Italia* è poco propenso a frequentare un negozio che usa il riconoscimento facciale per identificarli ma è più propenso ad utilizzare il proprio telefono per l’autoidentificazione in svariate fasi dell’esperienza in-store.

Per mantenere nel tempo la soddisfazione degli utenti rispetto alle tecnologie e per scalfire le comprensibili diffidenze rispetto alle tecnologie di riconoscimento basate su computer vision, è importante che le aziende si impegnino a mantenere alta la qualità e rilevanti le esperienze, umanizzarle e basarle sugli interessi, in sintesi dovrebbero lavorare per offrire un valore tangibile al cliente.

La pandemia è stata il principale catalizzatore di tutti i cambiamenti tecnologici che stiamo vedendo nel retail e di molti cambiamenti comportamentali indotti da un mindset inedito che conferisce priorità assoluta alla sicurezza e alla salute.

La pandemia è senza dubbio il principale acceleratore nell’adozione di tecnologie touchless.
Il 77% dei consumatori si aspetta di poter utilizzare in maniera quotidiana le tecnologie touchless per evitare interazioni che richiedono generalmente il contatto fisico*.
Un altro dato interessante è che il comportamento basato su pratiche non touch permarrà anche dopo l’emergenza pandemica perché sono stati colti i vantaggi di queste soluzioni (vocal interfaces, facial recognition, mobile-based applications).

Implementare e adottare su larga scala le tecnologie che soddisfano questa richiesta del pubblico richiede una visione di lungo periodo e un piano strategico con due imperativi:
-adottare un approccio test and learn
-adottare un approccio data-driven

Il vero cambiamento che ci si attende è dunque nelle organizzazioni.

Monitorare l’esperienza e imparare e raccogliere dati è fondamentale in quanto l’osservazione del comportamento delle persone, il modo in cui accolgono nuove soluzioni di interazione può essere misurato e analizzato e sulla base di questa pratica costante è possibile raccogliere insight per guidare le scelte future e gli improvement da attuare nella strategia di adoption di queste tecnologie.

*Capgemini Research Institute, Consumer Survey, April 2020, N=4,818 consumers

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Il cambiamento socio-economico e nuovi concept per il retail

Un recente studio Nielsen evidenzia nuovi pattern socio-economici e comportamentali che stanno contribuendo a ridefinire l’industria e il retail: basket reset, homebody reset, rationale reset e affordability reset. Questi parametri ci dicono che stanno cambiando le priorità e questo dovrà necessariamente portare i retailer a ridefinire le strategie e rimodellare l’esperienza di acquisto sulla base di nuovi comportamenti emergenti.
Appare evidente che sia sempre più richiesta l’integrazione fra online e offline. I benefici di questa integrazione sono stati ampiamente metabolizzati durante la pandemia in diverse modalità e occasioni quotidiane che vanno dalla pianificazione della visita nel punto vendita  al pre-ordine per il ritiro organizzato del prodotto in negozio o per ricevere un servizio personalizzato in totale sicurezza.

L’integrazione fra online e offline ha consentito di spingere molto il focus sulla personalizzazione dei servizi e sulla fidelizzazione, inoltre sulla sicurezza e sulla fiducia viene rinsaldata la relazione con il cliente.
Con l’aumentare dell’offerta online di servizi  che prima erano prerogativa dei punti vendita fisici, le persone hanno  alzato molto l’asticella rispetto alla percezione del servizio e la qualità dell’esperienza. I clienti richiedono ormai un buon livello di integrazione fra offline e online e sono propensi a svolgere parte del processo di acquisto online, tramite mobile o strumenti digital e touchless.

Con l’effetto della pandemia abbiamo visto anche portare nella vita reale e nel negozio fisico modalità di interazione prima di esclusiva pertinenza del mondo online. Si è potuta apprezzare finalmente la valenza e l’utilità di tecnologie che prima avevano uno scarso impiego. Il QR code ha finalmente visto evidenziato il suo potenziale dimostrandosi un ponte perfetto e immediato fra fisico e digitale in grado di agevolare la digitalizzazione di tutti quei supporti fisici che possono rappresentare vettori di contagio perché di uso pubblico (menu, biglietti, depliant, guide etc..)
I QR code è il primo punto di contatto anche nel nuovo concept store touchless di Burger King che vedrà le sue prime aperture nel 2021 a Miami e in America Latina.
I nuovi concept per il retail nascono per rispondere a due necessari e importanti obiettivi evolutivi:
- rispondere al cambiamento comportamentale dei clienti
- ridurre le dimensioni dei negozi.

Nel nuovo concept store touchless di Burger King sono state ridisegnate tutte le consuete forme di interazione dell’experience in negozio, le interazioni dirette con il personale sono state sostituite da operazioni digitalizzate ed è stata realizzata una profonda integrazione fra online e offline raggiungendo una piena fluidità fra i due ambienti.
Il negozio, i suoi spazi, sono stati interamente riconcettualizzati in senso funzionale, le stesse cucine sono state collocate nello spazio del negozio e nel processo secondo una logica di delivery perfettamente connessa con un sistema di food locker che chiude efficacemente l’esperienza con la consegna automatizzata dell’ordine.
Il nuovo concept store di Burger King è più piccolo del 60% rispetto ad un Burger King standard e consente dunque di operare una importante riduzione dei costi in un momento in cui il cambiamento dei comportamenti e dei consumi è in continuo divenire.
Il nuovo Burger King inoltre ridurrà notevolmente i tempi di permanenza del pubblico migliorando la percezione in termini di sicurezza e aumentando probabilmente l’efficienza e la velocità di erogazione del servizio.

L’innovazione degli spazi di vendita fisici si interseca con una grande opportunità legata all’economia dei dati.
La generazione di dati diventa automatizzata anche negli spazi fisici e vediamo ormai una apprezzabile diffusione dei sistemi automatici per l’analisi dei flussi e dei comportamenti del pubblico.
Le prime applicazioni sono comparse negli aereoporti e nelle stazioni ferroviarie dove è importante conoscere i volumi di traffico, identificare situazioni anomale e condizioni di pericolo o emergenza in tempo reale.
La generazione in tempo reale di dati è legata sempre di più all’interazione fra uomo e macchina ma il punto cruciale di questa interazione è sempre l’esperienza offerta.

Le cosidette digital humanities che forniscono analisi visuali e testuali, i sistemi di ricerca intelligente  rappresentano la sfida evolutiva più importante per tutti quei servizi che vogliono fare dell’esperienza il loro punto differenziante.
L’integrazione fra digitale e reale ha portato uno slancio evolutivo anche nelle tecnologie digitali che cercano di eguagliare l’experience reale portando a sperimentazioni molto audaci che vanno dall’utilizzo di “avatar” a rappresentazioni iperreali di spazi 3D all’interno dei quali è possibile muoversi stanza dopo stanza come nella realtà o come in un gioco stile Minecraft.
Diesel ad esempio ha lanciato il suo Hyperoom, uno spazio virtuale nel quale accogliere vendor e buyer e ai quali offrire una esperienza immersiva che consente di esplorare e visualizzare i prodotti in tutti i dettagli.
Al momento si tratta di un progetto riservato alla community di operatori ma potrebbe essere estesa anche ai clienti come nuova piattaforma e-commerce.
Si tratta senz’altro di un approccio coraggioso coerente con l’impegno dichiarato da OTB, il gruppo in capo al brand Diesel che, nel suo manifesto mette al centro la volontà di innovare, cambiare le abitudini e stimolare la creatività per contribuire allo sviluppo sociale e ad una economia sostenibile.

Anche Decathlon conferma il suo slancio innovativo con Decathlon DX, il negozio di 800 metri quadrati dedicato alle calzature per bambini che si presenta come un laboratorio ad alto valore esperienziale con aree di progettazione e test ed espositori con sensori RFID che consentono ai membri del programma fedeltà di acquistare senza passare alla cassa.

 

 

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Quando l’Intelligenza Artificiale raggiungerà il punto critico, il mondo cambierà?

Negli ultimi anni abbiamo potuto constatare che cambiamento sociale e cambiamento dei consumi sono spesso caratterizzati da una straordinaria velocità di diffusione e dalla capacità di  trasformarsi in fenomeni globali.

In termini comportamentali alcuni trend, supportati da potenti strategie di marketing, sono arrivati a diventare virali e questa caratteristica è quanto mai attuale e non casuale.

La diffusione di un trend, che si tratti di moda, intrattenimento o stile di vita, porta ad intensificare l’attività delle persone in alcuni ambiti specifici, fisici o virtuali, in parallelo aumenta la domanda di prodotti e servizi connessi e aumenta anche il fattore di diffusione del trend stesso. Come spiega bene Malcolm Gladwell nel libro The tipping point, quando si raggiunge il punto critico si raggiunge quella soglia oltre la quale è possibile ottenere un effetto a valanga.

Questo fenomeno è evidente nei processi biologici di diffusione virale, ma quantomeno stupisce un po’ che il fenomeno sia replicabile, in modalità pressoché identiche, anche nel mondo reale soprattutto se coadiuvato da strategie di marketing.

Quando emerge la domanda di un servizio o di un prodotto in maniera massiva, l’efficienza del processo di accesso a tali risorse e servizi determina il raggiungimento del punto critico di diffusione e determina anche la qualità percepita del servizio o prodotto.

Il gap fra domanda e offerta non è più un costo ammissibile in quanto siamo ormai in un’epoca in cui è possibile prevedere come cambierà nel tempo la domanda e attuare strategie adattive di offerta. Le strategie commerciali predittive abbinate ad una conoscenza dell’audience e del suo comportamento sono condizioni che stanno determinando il successo di alcune realtà e la scomparsa di altre dal mercato.
Saper cogliere, controllare e rispondere in maniera tempestiva e automatizzata, alle domande emergenti o al cambiamento nel comportamento della domanda è una delle sfide più importanti anche per il retail.

L’automazione dei processi nel retail interessa molti aspetti che vanno dall’accesso al punto vendita all’esperienza di prodotto fino a toccare il momento del post-acquisto, del consumo e della richiesta di supporto.

L'analisi del pubblico in tempo reale, le scaffalature digitali, le superfici interattive e le interfacce touch-less, sono alcuni esempi di come sta cambiando l'approccio per modellare l'esperienza in ambito retail.

Esperienze automatizzate e automazione del retail

Le esperienze automatizzate e l'automazione del retail sembrano essere sempre più applicate a una vasta gamma di prodotti e servizi.

Radar, telecamere, sensori per il riconoscimento vocale e del peso sono solo alcune delle soluzioni utili per acquisire una profonda conoscenza del contesto retail e del pubblico di riferimento.
Questa conoscenza consente di controllare, categorizzare, analizzare e infine modellare pattern in grado di generare una catena automatizzata di eventi prevedibili e misurabili.

Questo può far pensare che, in un regime quotidiano di azioni e risposte programmate o automatizzate al fine di rendere efficienti i servizi, si rischi di rendere l’esperienza umana imbrigliata o filtrata benché sicura e performante.

L’intelligenza artificiale e implicazioni su comportamento e società

Si potrebbe pensare che la codificazione dell’esperienza in pattern riconoscibili anche per l’intelligenza artificiale ci stia portando ad adattare il nostro linguaggio per agevolare e sostenere questo dialogo con le macchine. Perché queste riescano a riconoscerci e rispondere a comandi semplici o di discreta complessità, dobbiamo in qualche modo trasformare linguaggio verbale, gestuale e vocale in metalinguaggi capaci di essere associati a informazioni e traducibili dunque in risposte e risultati.

Che l’integrazione fra il mondo digitale e reale sia ormai pienamente in atto e in continua evoluzione è ormai evidente a tutti, il training accelerato dalla pandemia ha prodotto una vasta evangelizzazione dei benefici portati dalla digitalizzazione e dalla trasposizione virtuale di alcune esperienze.
È fuori da ogni dubbio che, in situazioni di emergenza, il digitale e il virtuale siano la via preferenziale oltre che ragionevole, ma prima di consegnare l’esperienza ad una automatizzazione vissuta nel quotidiano è sensato fare qualche riflessione in più.

Quali sono i benefici dell’automazione del retail?

Quando l’esperienza è automatizzata da un rapporto efficiente di dialogo fra macchina e uomo il risultato può rivelarsi senz’altro un beneficio. Si tratta di situazioni in cui è necessaria la raccolta di informazioni in tempo reale per una gestione efficiente del traffico delle persone, situazioni in cui è necessario preservare qualità specifiche dell’ambiente o situazioni in cui è necessario ridurre la presenza fisica dell’uomo o il suo impatto sull’ambiente.

Condividere informazioni, comportarsi in maniera procedurale e collaborativa è qualcosa che può essere riprodotto o replicato da una macchina è può portare evidenti vantaggi.
Comportarsi con empatia è una attitudine preziosa che difficilmente può essere attribuita ad una macchina.

Quando l’esperienza diventa automatizzata senza una reale finalità pro-social,  presumibilmente siamo di fronte ad un'esperienza controllata e semplificata ai fini più disparati che vanno dall’intrattenimento alla distrazione.
In questo caso si può avere un’esperienza automatizzata ma forse impoverita e con altre finalità non propriamente utili per chi ne sta facendo uso.

Se vogliamo aggiungere un guizzo provocatorio ma non distante dalla pura realtà, possiamo dire che l’esperienza automatizzata di questo tipo può avere lo scopo di generare dati attraverso le persone.
Tali dati, in quanto testimonianza di una traccia seppur minima di coinvolgimento o contatto, diventano monetizzabili perché hanno il potere intrinseco di moltiplicarsi in maniera esponenziale sulla base di fattori emotivi.

Ed eccoci finalmente a quello che può essere, con discreti e auspicabili limiti, non automatizzabile del tutto e che avrà sempre una lieve forma di resistenza da opporre alla più efficiente strategia di predizione: i sentimenti, gli eventi, gli accadimenti, la vita reale, l'etica.

Collegare cervello umano e intelligenza artificiale è la più recente e controversa sfida portata avanti da Facebook Reality Labs ed Elon Musk con Neuralink, e siamo solo all'inizio di una serie innumerevole di domande da porsi e fra queste la più autorevole sarebbe di Philip Dick: Ma gli androidi sognano pecore elettriche? 

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BIOZERO: il superamento della Biometria

La necessità di superare le tecniche di raccolta dei dati biometrici è sempre più pressante per ragioni di tipo legale, sociale ed etico.
I dati biometrici sono infatti dati personali che possono portare all’identificazione o all’utilizzo discriminatorio (anche in forma automatizzata) di tali dati. I più moderni sistemi di raccolta dei dati biometrici infatti riescono a definire sesso, età biologica, caratteristiche fisiche, umore ed etnia.

Questi parametri riescono dunque a determinare forme di riconoscimento dell’identità e della tipologia di individuo che possono alimentare il sistema che istruisce l’intelligenza artificiale. L’assegnazione del dato biometrico a categorie specifiche dunque pone in evidenza diverse criticità: etica, sicurezza del dato e utilizzo discriminatorio.
L’anonimizzazione del dato biometrico è un processo non sempre risolutivo in quanto si basa comunque su forme di trattamento del dato e su una conservazione seppure temporanea di tale dato.

Il superamento della biometria può essere effettuato in diverse modalità.
Munogu ha sviluppato BIOZERO, una soluzione a zero impatto biometrico che si basa su una gamma di tecnologie che include il color mapping e radar imaging.
L’algoritmo di color mapping è basato su AI Tensor Flow sviluppato dal team R&D di Munogu. La tecnologia di color mapping consente di ottenere informazioni tipicamente disponibili solo con l'utilizzo di sistemi biometrici (EG. face detection) attraverso strategie “pseudo-biometriche”, senza di fatto accedere a dati classificabili come sensibili in termini di compliance GDPR. Questo consente l’emissione di una DPIA semplificata priva “by design” di hazard rilevanti.
Alla base del sistema “BioZero” basato su color mapping è posto l’algoritmo di Intelligenza Artificiale la cui peculiarità distintiva on premises consiste nel poter effettuare l’analisi di color picking dal body track dell’utente, popolare con informazioni specifiche l’icona associata a quello specifico utente ed eventualmente effettuare anche una re-identificazione di controllo.

Questa è la necessaria premessa per garantire un flusso ordinato e affidabile nella fase di checksum (verifica) La tecnologia di color mapping infatti può essere impiegata nei sistemi di gestione del traffico degli uffici pubblici e consente di avere un sistema di queue management completamente immateriale e privo di contatto fisico tra persona e superfici (contactless).
La soluzione BioZero può essere basata anche su tecnologie di radar imaging che consentono di mappare uno spazio e identificare i soggetti nello spazio, tracciarne il comportamento e capire in che modo organizzarne il flusso senza la raccolta o utilizzo di dati biometrici.

Come funziona BIOZero Radar Imaging

BioZero è il paradigma di Munogu nello sviluppo delle soluzioni Kiosk. 
L'utilizzo della tecnologia radar-doppler abbinata a una platform per l’intelligenza artificiale come Kiosk, consente di ottenere una vasta gamma di vantaggi:

- tutelare la privacy: i radar, a differenza delle camere, sono certificato “BioZero”, non hanno nessun impatto sulla privacy, non devono anonimizzare dati sensibili, ne trasmetterli, in quanto NON SONO IN GRADO DI GENERARLI. Questo consente di saltare il complicato processo di verifica della compliance che coinvolge il DPO nella redazione di un DPIA, il team legal e tutte le possibili ripercussioni (e costi) per manutenzione preventiva ed eventualmente successiva a un possibile data breach.

- vedere il mondo con precisione: i radar vedono “nativamente” il mondo su un piano cartesiano e sono in grado di collocare con precisione le persone nello spazio, le camere devono al contrario devono operare delle approssimazioni ipotetiche basate su calcoli di prospettiva, “dimensione” delle persone rilevate e calcolo dei “punti di fuga”. Queste circostanze portano sia ad aberrazioni, sia a un impatto sull’intensità nel processo di delivery della soluzione. 

- non aggiungere operatività: considerando le criticità organizzative è importante che la soluzione abbia un impatto minimo sulle cosiddette “operations”, le operazioni di installazione, manutenzione e monitoraggio sono ridotte al minimo e permettono l’esclusione di zone specifiche dal monitoraggio (attività molto complessa con una camera o con dispositivi wearable).

- Stay Home: la tecnologia “on premise” consente il funzionamento del servizio anche senza connettività, questo non solo impedisce by design qualsiasi tentativo malevolo di intrusione nel flusso di dati trasmesso nelle soluzioni cloud-based, ma abbatte al contempo i tempi di inoperatività del servizio con un impatto significativo e positivo sui processi.

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Intelligenza artificiale ed esercizi di roboetica

L’intelligenza artificiale è un sistema in grado di istruire altri sistemi (software o hardware). Il software o la macchina costituiscono entità “che s’istruiscono da sé sulla base di logiche apprese”.
Questa osservazione ci può portare all’evidenza che in questo scenario l’uomo non è più centrale ma si delinea una vera autonomia dei sistemi tecnologici.
Da questo punto si possono diramare innumerevoli riflessioni sul design tecnologico delle macchine e dei sistemi basati su machine learning e sull’intelligenza artificiale. Ma può essere aperta una digressione anche sull’etica delle macchine.

Quanto e in che modo l’etica regola il design della tecnologia?
Già Asimov si era posto questo problema comprendendo che un sistema in grado di istruirsi ha bisogno di essere disegnato secondo principi etici o leggi molto chiare.
Nella sua visionaria immaginazione formulò Le Tre leggi della robotica che sono state addirittura riformate con una legge 0 quando comprese il pericoloso scostamento fra interesse pubblico e interesse del singolo.

Le leggi della robotica di Isaac Asimov

Le leggi della robotica secondo Isaac Asimov recitano così:
Legge Zero -  Un robot non può recare danno all'umanità, né può permettere che, a causa del proprio mancato intervento, l'umanità riceva danno.

Prima Legge - Un robot non può recar danno a un essere umano né può permettere che, a causa del proprio mancato intervento, un essere umano riceva danno. Purché questo non contrasti con la Legge Zero
Seconda Legge - Un robot deve obbedire agli ordini impartiti dagli esseri umani, purché tali ordini non contravvengano alla Legge Zero e alla Prima Legge.
Terza Legge - Un robot deve proteggere la propria esistenza, purché questa autodifesa non contrasti con la Legge Zero, la Prima Legge e la Seconda Legge.

Automazione industriale, machine learning e intelligenza artificiale sono sempre state ambito di intensa ricerca soprattutto mosse dalle forze incalzanti di quel capitalismo che ha mirato alla sostituzione dell’uomo con la macchina o alla trasformazione dell’uomo in quanto utente o cliente in una qualche forma di prodotto.
Senza arrivare a prefigurare un mondo irrimediabilmente distopico, si può affermare che tali forze hanno nutrito l’innovazione anche mosse da una visione umanistica che vuole liberare l’uomo dal lavoro e assegnarlo alle macchine.
Possiamo certamente affermare che può esistere una intelligenza artificiale che ha come obiettivo primario quello di migliorare la vita dell’uomo o ridurre l’impatto ambientale dell’uomo.
Possono altresì esistere dei principi guida per la progettazione delle macchine che i grandi innovatori siano pronti a sottoscrivere come un documento programmatico per il futuro.

Alcuni autorevoli detrattori tuttavia affermano a buon ragione che giganti della tecnologia digitale hanno messo in atto ciò che è stato definito " capitalismo della sorveglianza" (Shoshana Zuboff) . In estrema sintesi se decenni fa il web e i motori di ricerca erano considerati e osannati come un mezzo democratico, un luogo di libertà, dove l’informazione scorre veloce, in tempo reale, diventa accessibile e globale, ora emerge in maniera chiara la natura inquietante delle regole attraverso le quali queste macchine si istruiscono da sé.
Gli utenti del web e più in generale le persone si sono rivelate dei generatori inesauribili di quanto può essere considerato il nuovo petrolio: il dato.
Privacy, sicurezza del dato personale e anonimato sono diventati per questo motivo un valore da preservare e proteggere.
La qualità stessa dei servizi si attesta sempre di più proprio sulla capacità di preservare questi dati ed è in questa area che si sta muovendo sempre di più l’innovazione.

Saper raccogliere dati comportamentali senza ledere la privacy, senza minacciare la sicurezza dei dati personali e garantendo al tempo stesso un servizio personalizzato e rilevante diventa il nuovo reale traguardo per chi si occupa di intelligenza artificiale.

Tante sfide in un’unica semplice impresa che non si differenzia molto da un antico e sempre valido principio che dovrebbe regolare lo scambio di capitale in qualsiasi forma manifesta, moneta o dato. Questo principio può somigliare molto ad una versione attualizzata della già citata legge della robotica di Asimov.

Esercizio di roboetica numero 1 - L’intelligenza artificiale non può recare danno all'umanità, né può permettere che, a causa delle proprie regole, l'umanità riceva un danno o una visione contraffatta della realtà.

Insomma il principio guida dovrebbe essere l’utilità reale, il miglioramento dell’esperienza e la sicurezza del dato.
L’innovazione tecnologia ancora una volta può dimostrare di essere in grado di superare il problema della violazione dei dati e può farlo semplicemente ignorandoli o anonimizzandoli all’origine.
Ecco due esempi che ci consentono l’individuazione temporanea di un soggetto attivo, il tracciamento del suo comportamento ma non della sua identità o della sua storia comportamentale.
Il color mapping e radar imaging consentono ad esempio di analizzare l’attività di un utente o cliente allo scopo di modificare l’ambiente circostante in cui si muove il soggetto o al fine di fornirgli input e informazioni rilevanti.

L’ambito di applicazione più appropriato per queste tecnologie è il mondo reale, i negozi, gli uffici e gli spazi pubblici, luoghi in cui il vero significativo apporto in termini di innovazione può venire principalmente da quelle tecnologie in grado di non turbare l’interfaccia naturale dello spazio e dunque dell’esperienza.

Questo tipo di tecnologie ci porta a immaginare una seconda legge per un mondo tecnologico non distopico e realmente guidato da un etica dell’intelligenza artificiale.

Esercizio di roboetica numero 2 - L’intelligenza artificiale non deve turbare l’esperienza naturale e deve tendere ad avere un impatto biometrico pari allo 0.

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Raccolta del dato comportamentale e riconoscimento biometrico e nuovi metodi

Da qualche tempo ormai sentiamo parlare di riconoscimento biometrico e questa tecnologia è stata già adottata in alcuni aeroporti per velocizzare le procedure di transito dei passeggeri e dalle banche. I dati biometrici infatti sono dati personali perché consentono l’accertamento dell’identità.

I dispositivi biometrici sono in realtà molto diffusi in quanto li troviamo installati negli smartphone di ultima generazione al fine di abilitare la funzionalità di sblocco tramite il riconoscimento del volto.

Le caratteristiche biometriche possono essere biologiche ma anche comportamentali e possono portare al riconoscimento effettuando il confronto uno a uno. Questa operazione di verifica biometrica è alla base dei servizi che fanno uso dell’identificazione biometrica come strumento di accesso e abilitazione degli stessi.

Ad esempio quando vengono rilevate le impronte digitali si sta effettuando la rilevazione di un tratto biometrico che consente l’identificazione facendo il confronto uno a uno e permette di effettuare esclusioni facendo il confronto uno a molti.
Un altro esempio di tratto biometrico è la voce. La voce infatti è il risultato di una serie di caratteristiche fisiche e anatomiche che ne determinano le qualità.
Il tratto biometrico più ampiamente trattato è sicuramente quello del volto che non può dunque prescindere dall’acquisizione di una immagine.
I sensori biometrici possono essere dunque di vario tipo e con diverse modalità di acquisizione del dato, tuttavia la finalità è comune ed è quella di elaborare una rappresentazione matematica (modello biometrico) delle caratteristiche e dei valori acquisiti.

Quali sono i rischi connessi al riconoscimento biometrico?

Controllo sociale, uso discriminatorio dei dati e falsificazione biometrica sono da considerarsi punti critici e controversi soprattutto quando tali dati sono associati all’erogazione di un servizio.
L’etnia, la forma fisica o lo stato di salute possono ad esempio essere oggetto di un trattamento discriminatorio, o semplicemente portare ad applicare cluster che possono essere reputati discriminatori.
Utilizzare sistemi di riconoscimento biometrico richiede dunque l’adozione di misure di sicurezza specifiche che possano assicurare la temporanea conservazione del dato per le finalità dichiarate e la consapevolezza del trattamento da parte dell’individuo interessato.

Ai fini del permission marketing tale consapevolezza può essere assicurata informando rispetto al trattamento, ma quando le strategie di marketing sono applicate a soggetti non conosciuti o non consapevoli è importante adottare strategie di raccolta del dato comportamentale e visivo che siano assolutamente compatibili con la normativa sulla GDPR.

Nuovi metodi di raccolta del dato comportamentale

Fra le tecniche di raccolta del dato non biometrico annoveriamo la computer graphic e la computer vision che, attraverso la raccolta di campioni di colore o informazioni comportamentali temporanee riescono ad elaborare un modello matematico non biometrico. Tale modello dunque, in un confronto uno ad uno non consente di ricondurre all’individuo quando è fuori dal contesto specifico della raccolta dati o quando presenta una minima variazione del dato.

Parliamo per questo motivo di dati aggregati che dipendono in maniera specifica dalle circostanze temporali e ambientali.

Per fare un esempio concreto un soggetto che entra in un negozio con maglietta rossa e jeans è considerato come un soggetto diverso se viene intercettato dopo pochi minuti con una maglietta bianca e dei jeans.
Questo modello di acquisizione e analisi del dato comportamentale è certamente più utile e più adatto ai fini di marketing e può dare la possibilità di misurare e comprendere il proprio pubblico di riferimento. La raccolta del dato e la sua rappresentazione organizzata sta diventando lo strumento principale per rendere adattativa qualsiasi strategia applicata al mondo reale e dei servizi al pubblico (negozi, spazi pubblici e luoghi di transito).

Questo significa che l’analisi del dato comportamentale nel mondo reale diventa puntuale e sempre aggiornato esattamente come nel contesto digitale.
Ne deriva un enorme potenziale di innovazione in svariati ambiti che spaziano dal marketing puro alla sicurezza fino al puro infotainment.

Scopri di più sulle soluzioni per la Customer Data Intelligence

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Linguaggio del corpo e computer vision: come evolve la User experience

Le espressioni facciali sono state oggetto di studio approfondito e costituiscono spesso la primaria fonte di informazione rispetto ad un interlocutore o una persona che si sta osservando. Ma cosa cambia quando ad osservare l’uomo è un computer?
L’occhio umano è una macchina perfetta per analizzare le immagini da un punto di vista tecnico, semiotico ed emozionale, così come è lo strumento perfetto per analizzare il linguaggio del corpo.
Il linguaggio del corpo rappresenta l’informazione di primo livello colta dal senso della vista e poi tradotta in giudizio razionale o emozione dal cervello. Proviamo a sostituire occhi e cervello con il corrispettivo tecnologico digitale e avremo un assaggio di quanto si rivela come il presente o si sta prospettando come il futuro più prossimo.
Quando guardiamo un’immagine siamo in grado di assegnarla ad una categoria, quando osserviamo un gesto o un’espressione siamo in grado di assegnare un significato. A volte il significato di un gesto rappresenta un sedimento culturale ma nella maggior parte dei casi può essere ricondotto ad un linguaggio che viene praticato quotidianamente ed è stato ormai codificato come universale anche grazie al digitale e ai media.

Le aree prossemiche secondo la computer vision

L’analisi tecnica delle immagini è già da tempo dominio anche delle macchine, ma i gesti e i movimenti del corpo sono diventati nell’ultimo decennio punto centrale di studio e di ricerca per la computer vision.
Riconoscere il linguaggio del corpo attraverso un computer, attribuire un significato ad un particolare movimento significa poter mettere in relazione e comunicazione l’uomo con un intermediario (il computer) in grado di processare le informazioni, aggregarle, analizzarle in tempo reale e gestirle per elaborare feedback, azioni specifiche, risposte, informazioni e pseudo-conversazioni.
La computer vision è riuscita in qualche modo anche a riparametrare le cosiddette aree della prossemica. Per fare qualche esempio, quella che si definisce area intima, vicinanza, può corrispondere, nella relazione fra uomo e device, al riconoscimento e alla possibilità di sbloccare un’azione o un contenuto. Quando si verifica una relazione di prossimità in questa area verosimilmente siamo di fronte ad un interesse reale o ad una relazione fra persona e oggetto che può essere interpretato come possesso o appartenenza.
L’area personale, l’area sociale e l’area pubblica diventano sempre di più oggetto di analisi computerizzata soprattutto in questo recente scenario dominato dalla paura del contagio da COVID 19 che ha reso il tracking delle persone e la misurazione della distanza sociale come un prerequisito per la sicurezza e la salute pubblica.
Se prima l’area personale e quella sociale erano da intendersi come la distanza che “scegliamo” di mettere fra noi e gli altri, ora queste diventano aree spesso sottoposte a regolamentazione e controllo da parte di figure preposte al controllo o sono regolate da macchine in grado di analizzare tecnicamente le immagini.
Indubbiamente se osserviamo tutto questo da una prospettiva segnata dall’emergenza pandemica, quello che ne deriva è l’immagine di una realtà distopica degna delle visioni apocalittiche di Huxley o Orwell.
Se invece adottiamo una prospettiva guidata dal lume dell’innovazione, lo scenario può essere quello utopico in cui l’elaborazione e l’analisi tecnica delle immagini consente di raggiungere alti standard di sicurezza e alti standard qualitativi nei servizi, pensiamo ad esempio al settore automobilistico, alla domotica, al settore dei trasporti, quello sanitario e anche a quello educativo.

Natural User Interface e Interfaccia Utente Touchless

Il riconoscimento del corpo, della voce, dei gesti e della posizione nello spazio consente di sviluppare interfacce naturali che annullano qualsiasi interferenza tecnologica nell’esperienza.
Questo ci porta ad aprire un approfondimento sul concetto di Natural User Interface e Interfaccia Utente Touchless.
Un gesto è un movimento del corpo che contiene informazioni e questa è la premessa il linguaggio umano (e animale in senso esteso) ma su questa premessa si basa anche il design di servizi che adottano un approccio che punta sulla Natural User Interface.
La prerogativa di questo approccio è quella di permettere un’ interazione “seamless” fra uomo e macchina facendo scomparire l’interfaccia e lasciando che affiori solo l’esperienza come forma di contenuto.

Il riconoscimento del corpo e dei gesti può essere basato sull’utilizzo di fotocamere, sensori o altri dispositivi in grado di rilevare dati ai quali viene attribuito un valore.
Questa analisi tecnica delle immagini o del movimento compiuta naturalmente dall’occhio umano può essere svolta dalle macchine secondo due approcci distinti. Un approccio si basa sulla raccolta di immagini, che rapportate ad un database di confronto consente di attribuire un dato e un significato all’immagine raccolta. Il secondo approccio si basa sull’identificazione dello scheletro e dunque risulta più veloce e preciso perché si basa su punti e coordinate che corrispondono ad una codifica gestuale ben riconoscibile. Questo approccio è infatti adottato dal settore dei giochi che non può prescindere dalla velocità di risposta, dalla precisione e consente di cogliere e interpretare una vasta gamma di gesti.

L’interfaccia Utente Touchless (TUI) si basa sulla premessa che, con l’utilizzo di camere, sensori 3D e computer vision, ci sia una comprensione del movimento o delle azioni gestuali o vocali. Questo vuol dire che non è necessario alcun contatto con i device ma può essere sufficiente un gesto o un input vocale per attivare un feedback di risposta di qualsiasi tipo.
Le tecniche di riconoscimento del comportamento umano possono essere variamente impiegate per migliorare servizi, renderli più accessibili e sicuramente più sicuri da un punto di vista sanitario.
Scopri come l’utilizzo di sensori spaziali può migliorare la gestione delle code.

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La gestione delle code e l’impatto sulle performance del punto vendita

La gestione delle code è un tema di cruciale importanza e consiste nel controllare e organizzare il flusso di ingressi. Adottare un sistema di gestione delle code significa anche migliorare un’esperienza che genericamente è considerata frustrante per il cliente e che può avere un impatto notevole sull’efficienza dei servizi, sulla qualità percepita e infine una ricaduta sulle performance di vendita di un negozio.
Una gestione appropriata delle code contribuisce alla soddisfazione del cliente, migliorare l’efficienza dell’operatività, aumenta gli ingressi perché una coda snella ed efficiente non scoraggia i clienti.

È stato dimostrato inoltre che una buona gestione delle code porta e una riduzione dei tempi di attesa porta ad ottenere una serie di benefici e fra questi un aumento della spesa media in negozio e un risparmio nella gestione delle risorse.
Durante i giorni in cui l’epidemia correva veloce e implacabile abbiamo visto nel mondo immagini inverosimili di code chilometriche e innumerevoli teorie sulla scelta del giorno e dell’orario migliori.
I servizi di consegna a domicilio sono andati più volte in tilt e i tempi di attesa in certi casi superavano le due settimane.
Ad ogni modo il periodo del lockdown nella sua drammaticità è stato anche un periodo di formazione intenso per le persone che hanno superato qualsiasi reticenza nell’adozione di servizi online e un periodo di intensa innovazione che ha visto nascere le più disparate soluzioni tecnologiche per la gestione delle code.

Dall’osservazione delle code nei supermercati durante il lockdown sono nati esperimenti virtuosi di monitoraggio delle in tempo reale basati sulla geolocalizzazione e sul contributo attivo degli utenti.
Questi sistemi seppure ancora in una fase sperimentale riescono a fornire una stima dei tempi di attesa e in base a questo è possibile scegliere il punto vendita che risulta più comodo per posizione e tempo di attesa. Le persone in coda possono fornire informazioni e alimentare il sistema di monitoraggio e in questo modo contribuire alla erogazione di un servizio per gli altri.
Poi ci sono i sistemi di gestione delle code adottati dai negozi e dagli uffici pubblici che con l’epidemia hanno dovuto misurarsi con un necessario rimodellamento del flusso di gestione che ha introdotto momenti di controllo, igienizzazione e ingressi contingentati per mantenere i livelli di saturazione degli spazi entro gli standard per garantire la sicurezza e la salute pubblica.

Come si può misurare lo standard di sicurezza sanitaria per il pubblico

La saturazione dello spazio e il distanziamento sociale sono due nuovi valori che determinano lo standard di sicurezza ma la conservazione e il controllo di questi standard dovrebbe essere regolato da un passaggio corretto dell’informazione rispetto ai flussi di ingresso e gestione dell’esperienza all’interno del negozio.
Con lo scatenarsi dell’emergenza sanitaria questi due standard sono stati garantiti dal personale addetto che attraverso soluzioni di comunicazione fra operatori si scambiavano informazioni sui flussi di entrata e di uscita per regolare la saturazione e il distanziamento adeguati nel locale pubblico, negozio o ufficio.
Se prima la porta era un varco condiviso da chi esce e da chi entra, ora l’entrata e l’uscita dal negozio nella maggior parte dei casi costituiscono varchi differenti e distanti. Dopo circa 4 mesi di sperimentazione sono stati ormai adottati sistemi automatizzati di misurazione della temperatura, sistemi con sensore per favorire la corretta igienizzazione delle mani e sistemi in grado di rilevare saturazione degli spazi e prossimità che riescono a fornire in tempo reale una misurazione dello standard di sicurezza.
Questa si prospetta ormai come la nuova normalità nella gestione dei negozi ma molto altro rimane da esplorare. Questo cambiamento ha aperto uno scenario per la tecnologia nel retail che può offrire nuove ed interessanti opportunità.

Tecnologia per il retail: opportunità e vantaggi

Il tempo di attesa in coda può essere un momento per operare in maniera efficiente su diversi livelli: segmentazione del traffico, infotainment, advertising o digital signage negli spazi di attesa.
Queste opportunità devono essere intese all’interno di una cornice tecnologica che consente monitoraggio in real time, misurazione delle performance e del potenziale legato allo spazio fisico e al singolo negozio, gestione agevole e centralizzata dei dati, gestione mirata dei contenuti e delle strategie per punto vendita o per ufficio, possibilità di isolare criticità e correggere in maniera puntuale.

Scopri di più sulle soluzioni Munogu per la sicurezza degli spazi pubblici 

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Analisi dei dati comportamentali come strategia di prevenzione

Probabilmente il coronavirus sarà nelle cronache ancora per molto tempo ma la chiusura totale delle scuole, degli uffici e le limitazioni su riunioni e assembramenti non sarà a lungo protratta in dimensioni così estese e senza avere alternative. Sicuramente i periodi di chiusura saranno più brevi e l’isolamento sarà mirato.
In questi mesi c’è stato modo di sperimentare soluzioni diverse e disparate per gestire il contenimento della diffusione, dalla chiusura totale alla gestione delle affluenze contingentate.
Quello che è certo è che la pianificazione e il controllo degli spostamenti è stato cruciale per arginare l’emergenza.

Non si può dire che non sia stato un periodo creativo e insieme drammatico in cui si è tentato di recuperare in tutti i modi una normalità che probabilmente deve trovare un nuovo assetto, una normalità che dovrà sicuramente essere rimodellata secondo nuovi parametri. Ci sarà bisogno di un cambiamento comportamentale che dobbiamo sperare sia evolutivo.
Fare previsioni sull’onda di un’emergenza non è mai un esercizio semplice ma ora lo scenario inizia a delinearsi e dopo questa esperienza le soluzioni più efficaci iniziano a rivelarsi. Ciò che indubbiamente si è dimostrato più risolutivo in assenza di una cura, è stato il cambiamento comportamentale.

Come ha affermato Marc Lipsitch, professore di epidemiologia e direttore del Center for Communicable Disease Dynamics di Harvard, ci sono analogie fra le previsioni del meteo e le previsioni di cambiamento sociale, “non possiamo cambiare il meteo ma possiamo cambiare il corso della pandemia con il nostro comportamento, bilanciando fattori psicologici, sociologici, economici e politici”.
Se a cambiare il corso della pandemia hanno contribuito tecnologia e il digitale, il cambiamento comportamentale che ne è derivato è stato anche guidato dal re-design di molti servizi.

La chiave di questo approccio tecnologico sono i dati comportamentali. Vediamo in che modo possono essere utilizzati

Il digitale ha subito una veloce crescita in termini di adozione e l'e commerce è diventato il primario canale di acquisto per molti registrando una crescita fisiologica favorita dal lockdown, questo vuol dire avere una profonda tracciabilità delle abitudini di consumo.

Machine learning e intelligenza artificiale stanno trovando un’applicazione nel quotidiano e risultano strumenti efficaci per fare analisi di contesto utili per avere una visione chiara dei cambiamenti in atto.

L’analisi dei dati risulta infatti un fattore cruciale per mettere in atto strategie di prevenzione e controllo partendo da una comprensione degli eventi e del comportamento.
Il riconoscimento di pattern comportamentali aiuta infatti a modellare i servizi, a monitorare in tempo reale l’efficacia e ad apportare correzioni.
Ad esempio durante la pandemia alcuni sistemi di analisi del linguaggio hanno contribuito a fornire dati geo localizzati che hanno permesso di identificare le zone critiche e le direttrici di diffusione del contagio.
Isolando keyword strategiche nelle conversazioni sui social è stato possibile fare analisi spaziali per creare mappe e rappresentazioni visive. Questo processo di raccolta dati di hot topic legate al Covid combinati con la geolocalizzazione hanno portano a identificare zone critiche o a definire dinamiche di diffusione.

Il tracking comportamentale ha sempre avuto un lato oscuro ma in questo caso di emergenza è diventato imprescindibile.
Sono state sviluppate soluzioni di misurazione della prossimità fra individui e l’adozione di device wearable o app di tracciamento della prossimità e del rischio è diventata spontanea.
In sintesi, la consapevolezza che il dato sul comportamento possa in qualche modo essere la chiave per combattere la diffusione è sempre più evidente e le persone sono sempre più propense a cedere questi dati anche perché l’anonimato può essere ampiamente garantito.

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La computer vision e machine learning per modellare e connettere virtuale e reale

L’ambizione più attuale e condivisa da chi si occupa di innovazione e nuove tecnologie è senz’altro quella di poter modellare l’ambiente in maniera da renderlo intelligente, ricco di dati, interattivo, fluido e user-friendly.
L’ambiente di cui si parla in questo caso è uno spazio di azione in cui virtuale e reale non sono separati ma totalmente integrati.

La tecnologia che mette in relazione ambiente virtuale e ambiente reale

Questo ambiente ideale, modellato dalla tecnologia, è concepito come uno spazio all’interno del quale il comportamento umano viene interpretato secondo modelli riconducibili alle neuroscience e alla psicologia cognitiva.

Parliamo nello specifico di un concetto noto già nel 2005 come Ambient Intelligence, che poi ha trovato una sua naturale evoluzione nell’ Internet of Things e nella Computer Vision.

Possiamo sintetizzare tutto questo con il concetto di Context Awareness?
Sicuramente il fine ultimo è quello di conoscere l’ambiente, identificare eventi specifici e generare un contenuto e esperienza contestuali.

Event detection e contenuto contestuale.

Gli eventi (reali o virtuali) opportunamente codificati possono essere interpretati da algoritmi che saranno in grado di stabilire una relazione fra oggetto, situazioni ambientali, spazio e persona.
Questi eventi possono essere di natura estremamente semplice come ad esempio rilevare la presenza di una persona o oggetto in uno spazio specifico o la loro assenza in un determinato momento e ad una particolare condizione.

La tecnologia basata sulla computer vision consente di disegnare architetture di informazioni scalabili che hanno il vantaggio di poter monitorare e gestire gli eventi in maniera automatizzata ma al contempo personalizzata.

Questo è possibile perchè computer vision e IoT si basano oltre che sulla conoscenza dell’ambiente anche sulla conoscenza delle dinamiche di interazione fra uomo, ambiente e oggetti e sono finalizzate a determinare sistemi compatibili con forme naturali di comportamento.

La tecnologia che mette in relazione oggetti e persone

Il punto centrale rimane il modo in cui l’uomo processa le informazioni derivanti dall’ambiente e anche da oggetti e come le relative rappresentazioni si traducono in reazioni a stimoli o interazioni.

Computer vision e machine learning non possono prescindere dal modo in cui l’uomo ha percezione di spazi e oggetti, dal modo in cui memorizza le informazioni, prende decisioni o risponde ad un problema specifico ma per accedere a questa conoscenza è fondamentale che la tecnologia sia integrata con l’esperienza naturale.

AI e IoT si basano su tecnologie e hardware miniaturizzati perfettamente integrabili con gli oggetti e arredi e proprio per questo particolarmente adatti a contesti come showroom e negozi. Il fatto che la tecnologia non sia visibile (technology Hidden approach) significa che le persone non devono necessariamente esserne coscienti o apprenderne il funzionamento e questo diventa molto importante se non si vuole turbare o manipolare l’esperienza naturale.

I dati provenienti dall’ambiente e dal modo in cui le persone agiscono nei vari contesti, organizzati in conoscenza secondo una rappresentazione semantica possono essere quindi uno strumento potente per il marketing.
Infatti avere una visione chiara dell’attività e del comportamento delle persone nello spazio consente dunque di mettere in atto strategie predittive o correttive, migliorare servizi e offerta .

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