Empowering Retail_v2

Evento Empowering Retail: esperienze In-Store uniche con IA e Innovazione Digitale

L’esperienza nel punto vendita sfrutta l’innovazione.

Intelligenza artificiale e dati, per crescere, key topics:

  • Grande attenzione delle Aziende al punto vendita, sempre più luogo di esperienze
  • Opportunità distintive e coinvolgenti sono oggi abilitabili con momenti emozionali interattivi, grazie all’intelligenza artificiale 
  • Nuove soluzioni di retail experience touchless, comandate con gesture umana e presentate da Munogu e Microsoft, integrano Azure/OpenAI nel nuovo copilot Retail

Milano – 4 Marzo 2024 – Si è parlato di Marketing esperienziale nel punto vendita e di innovazione digitale con intelligenza artificiale e dati, al workshop organizzato da Munogu e Microsoft in Microsoft Technology Center, in Viale Pasubio 21 a Milano, dove si sono incontrati Clienti di industry diverse, dal Retail al Lifestyle, al Design, alla Tecnologia.

“L’Intelligenza Artificiale – ha aperto Agnese Giordano, Technical Architect, Retail – MTC Milano, @Microsoft – rappresenta una grande opportunità per tutte le imprese. Ha generato, e genererà ancor più in futuro, cambiamenti nel modo in cui le imprese operano e le persone lavorano, portando maggiore valore in tutti i settori.  Renderà disponibili nuove modalità più coinvolgenti per arricchire l’employee experience, reinventerà il customer engagement, mettendo al centro il cliente, darà nuove forme ai processi di business. Si stima che si risparmieranno 5,4 miliardi di ore lavorate all’anno (pari alle ore lavorate annualmente in Repubblica Ceca – Fonte studio The Ambrosetti House & Microsoft “AI 4 Italy – Impatti e prospettive dell’Intelligenza Artificiale Generativa per l’Italia e il Made in Italy) che verranno liberate a favore di attività più remunerative, creatività, produttività e nuove esperienze. In ambito Retail, supporterà la valorizzazione  del dato a livelli  mai visti, rendendo disponibili più informazioni ed insights per le organizzazioni, supporterà le aziende nell’implementazione di supply chain intelligenti in tempo reale, grazie all’ AI generativa, darà più strumenti al personale di vendita e porterà l’esperienza d’acquisto ad un altro livello.”

Già oggi i Retailer riconoscono l’importanza di ritornare a focalizzarsi sul punto vendita, concentrandosi sull’esperienza che offrono al Cliente. I negozi non sono più solo centri transazionali, ma si stanno trasformando in luoghi di esperienze ibride e coinvolgenti. Si è partiti da ibridazione di servizi, offrendo spazi di caffetteria interni alle librerie, o sfruttando sinergie simili, per arrivare ora ad esperienze #phygital, che integrano la forza dell’interazione fisica con la flessibilità ed i benefit del digitale, per esperienze interattive, emozionali, immersive. Questi spazi di vendita esperienziali stanno creando destinazioni che offrono molto di più di semplici prodotti, trasformando lo shopping in un evento vero e proprio.

Ma non solo: l’integrazione con il Digitale offre diverse opportunità ai Retailer, in ambito #phygital, opportunità un tempo non disponibili. Gli investimenti in Innovazione Digitale stanno crescendo a ritmi sostenuti, come confermato dall’Osservatorio Polimi Digital Innovation nel Retail – 2024, che registra nello studio dedicato, incrementi rilevanti. Si investe sia in ambito Client facing che in back end, in attività che siano in grado di utilizzare meglio i dati disponibili o abilitare esperienze più comode e facilmente fruibili. 

Digital Signage, chioschi interattivi, self scanning, soluzioni innovative di pagamento, ma anche cabine interattive, integrate con magazzino e store-assistant per esperienze d’acquisto più fluide, così come scaffali intelligenti o self-checkin/checkout per ridurre le code, grazie ai passi avanti dell’integrazione omnicanale, stanno arrivando anche in Italia.

“Per concretizzare esperienze efficaci – ha commentato Gabriella Bergaglio – Client Partner & Business Development Director, @Munogu – è necessario un concept design che tenga conto di diversi elementi, dagli obiettivi dell’esperienza, ai temi del coinvolgimento, agli spazi interessati ed ai vantaggi associati (raccolta dati su interazioni, traffico, comportamenti del pubblico). Elementi come l’empowerment del Cliente, la facilità dell’interazione, la capacità di generare stupore, insieme al potenziale emozionale, fanno la differenza nel costruire un contesto efficace. Grandi player come IKEA, ma non solo, hanno già da molto tempo ben in mente gli impatti che esperienze ben disegnate nella journey del Cliente all’interno del punto vendita possono sortire, in termini di engagement e facilitazione del processo di acquisto. Le esperienze interattive proposte da Munogu sono technology hidden, e generano proprio per questo un effetto sorpresa che attiva stopping power ed emozioni. L’interfaccia NUI (Natural User Interface) poi abilita queste interazioni attraverso il gesto umano, mantenendo la relazione e l’interazione stessa, semplici e di veloce apprendimento. Nuove opportunità dunque sono oggi disponibili per i Retailer in termini di Brand experience, infotainment, remind di prodotto sul punto vendita o comunque in prossimità dell’acquisto. La tecnologia avanza ed abilita nuove opportunità in grado di creare momenti di interazione che possano influenzare, facilitare e velocizzare il processo di vendita”.

Michele China, Chief Innovation Officer @Munogu, ha concluso: “Le soluzioni più innovative, come il Digital Assistant copilot Retail, recentemente sviluppato da Munogu in partnership con Microsoft, danno un’idea della dirompenza dell’Intelligenza Artificiale anche in tema di Customer Experience. Grazie all’integrazione con Azure OpenAI, al Digital Assistant copilot Retail può essere fatta qualunque domanda, a voce. Le integrazioni con i sistemi informativi legacy aumentano ulteriormente le potenzialità. Il Digital Assistant inoltre, può orchestrare tipologie diverse di esperienza, come per esempio quella dell’Armocromia, che propone profili armocromici agli utenti con suggerimenti sui colori che meglio fanno risaltare l’incarnato dell’utente coinvolto. Un modo ancora più divertente per proporre personalizzazione, interazione e sorpresa, elementi critici per esperienze di successo.”

MUNOGU è un’agenzia innovativa nata nel 2017 con l’intento di fornire soluzioni tecnologiche in grado di realizzare efficacemente l’integrazione del digitale nello spazio fisico, grazie ad una profonda conoscenza della sensoristica spaziale e delle più moderne tecnologie basate sull’AI. I nostri prodotti aiutano ad analizzare e migliorare l’esperienza negli spazi pubblici e nei negozi e offrono momenti di interazione che possono facilitare e accelerare il processo di vendita.

L’experience marketing è da noi concepito come uno strumento rilevante per arricchire il customer journey, fornendo al contempo analisi utili per le strategie di brand engagement e store management. Le soluzioni Munogu sono progettate per rispondere a queste esigenze offrendo ai Clienti nuovi touchpoint esperienziali con cui integrare il percorso d’acquisto con esperienze interattive sorprendenti, generando attrattività ed attenzione, raccogliendo dati e consentendo un efficace approccio omnichannel

Munogu è orgogliosa di essere stata scelta come Strategic Partner da Microsoft, è resident asset presso il Microsoft Technology Center di Milano e Zurigo, partner ufficiale di EY, e business partner di BBC Technology per le soluzioni di pagamento integrate. Grazie a questa collaborazione, Munogu è in grado di integrare i flussi di dati provenienti da sistemi di cassa, inventario e logistica con quelli provenienti dai sensori ambientali, contribuendo in modo determinante a definire un data lake per l’intera catena retail, necessario a prendere decisioni razionali in ottica data driven. 

Verso la stima della posa 3D utilizzando camere RGB

Tradizionalmente l’interpretazione del posizionamento del corpo e la definizione dello scheletro erano compiti complessi che richiedevano telecamere di profondità e hardware costosi per la post-elaborazione dei dati acquisiti.

Ormai dieci anni fa l’introduzione di Microsoft Kinect, inizialmente orientata alla comunità di gioco, ha avuto un impatto significativo nella stima del posizionamento e ha aperto la strada a sensori simili e a ulteriori ricerche sul campo.

Ultimamente, stiamo vedendo sempre più alternative che non solo richiedono meno risorse, ma possono funzionare anche con una semplice fotocamera RGB senza necessariamente fare affidamento sulle informazioni di profondità per ottenere i dati necessari alla stima. Naturalmente, la mancanza di informazioni sulla profondità normalmente significherebbe l’assenza dell’asse Z, tuttavia ciò sta cambiando anche grazie a modelli ML migliori focalizzati sull’estrapolazione dei dati mancanti da un’immagine monoculare. La combinazione di queste due soluzioni può presto rendere obsoleto il requisito del sensore 3D per determinati casi d’uso, il che a sua volta non solo riduce il costo complessivo dell’hardware, ma semplifica anche il processo di installazione in loco grazie a un ingombro medio inferiore di una telecamera 2D e alla possibilità di osservare l’ambiente anche attraverso doppi vetri a gas freon (che normalmente inibiscono la gamma di rifrazione della luce infrarossa nei sensori 3D).

In Munogu siamo entusiasti di aver finalizzato la conversione di alcune delle nostre ben note soluzioni di gamification che tradizionalmente richiedevano sensori 3D per funzionare con una semplice webcam pur mantenendo un’accuratezza e una precisione simili a quelle fornite da una fotocamera time-of-flight. Molti dei prodotti del nostro catalogo di gamification sono oggi disponibili in entrambe le varianti, fornendo risultati praticamente identici.

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Natural User Interface (NUI) e User Interaction design

interagire

verbo intransitivo

  • Comportarsi in modo da provocare e subire reciprocamente una serie di azioni e reazioni; relazionarsi (anche + con )
  •  Di fenomeni naturali, concorrere alla produzione di un identico effetto

Interagiamo costantemente: con le persone,con gli oggetti, con i dispositivi, con le nostre auto e all’interno delle nostre case.

Le interfacce con cui interagiamo utilizzando modalità come tocco, gesti o voce sono spesso chiamate Natural User Interfaces (NUI).

Le nostre interazioni diventano più significative quando provocano emozioni interiori e sono più naturali.
Forse la frase migliore per descrivere NUI è quella di Daniel Wigdor: ”Il contenuto è l’interfaccia”, che suggerisce di rimuovere uno strato dell’interfaccia per accedere al contenuto in modo più diretto e trasparente. Poiché l’utente interagisce direttamente con il contenuto, il contenuto dovrebbe “comportarsi” in modo da guidarlo su come interagire con esso.

Tutti siamo stati i testimoni dell’iper-consapevolezza delle possibili implicazioni delle superfici touch, con conseguenti cambiamenti di comportamento e atteggiamento che sono arrivati con il COVID-19. I milioni di aziende che si affidavano alle tecnologie touch, erano costrette a cambiare approccio. Comunque, il futuro “touchless” era imminente, la pandemia ha solo accelerato la transizione.

Ma come si progettano interfacce self-service contactless adatte a futuri utenti ed esperienze?

La risposta è semplice: utilizzando le tecnologie touchless con Natural User Interface.


Se consideriamo per un momento l’interazione interpersonale (spostandoci dal mondo dei computer), ci renderemo presto conto che utilizziamo un’ampia gamma di gesti nella comunicazione.


I vantaggi delle tecnologie NUI iniziano dal punto di vista sanitario e includendo 0 curva di apprendimento, danno la possibilità a tutti di interagire con la tecnologia e utilizzare i servizi da essa forniti senza necessità di apprendere alcun nuovo gesto. Sono accessibili a chiunque. In NUI, le capacità naturali dell’uomo diventano ispirazione e modello per generare nuove modalità di interazione.

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Ma come progettare l’interazione giusta?

Se gli utenti trovano difficile l’interazione con un’interfaccia, il loro sforzo mentale o carico cognitivo è elevato.

Un carico cognitivo elevato significa che gli utenti devono continuare a pensare a come manipolare l’interfaccia invece di concentrarsi sul raggiungimento di un compito. Il carico cognitivo degli utenti dovrebbe essere minimo per garantire meno sforzo a lungo termine e consentirci di rivolgerci un gruppo di utenti più ampio.

 

Il UX design dovrebbe iniziare dalla comprensione degli oggetti nel mondo fisico.

La NUI dovrebbe essere progettata nel modo in cui l’utente applica principalmente le conoscenze di base e le abilità semplici durante l’interazione. Ciò garantirà che l’interfaccia sia facile da usare e da imparare.

Le attività semplici e utilizzate di frequente dovrebbero avere gesti altrettanto semplici per attivarle.

Le tecnologie NUI, in particolare quelle touchless, dovrebbero essere accessibili ad un pubblico più ampio, progettate per essere comprensibili per tutte le età e abilità. Possono aprire l’informatica a un nuovo pubblico, come i giovanissimi, le persone anziane o le persone con disabilità. Creare una NUI di successo significa che gli utenti decideranno in brevissimo tempo accederanno e utilizzeranno il design proposto.

Progettare una buona NUI significa tenere a mente l’identità, le esigenze e il contesto degli utenti in ogni fase del processo.

E la cosa più importante: il NUI design di eccellenza cerca di soddisfare le esigenze degli utenti, non di essere più ‘intelligente’ di loro.

 
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Come migliorare la soddisfazione nell’esperienza per incrementare le vendite omnicanale?

Alcune tecnologie chiave stanno portando le aziende che investono nel retail al livello successivo della vendita al dettaglio.


Alimentate da l’entusiasmo per la computer vision, il machine learning e dall’Intelligenza Artificiale (AI) le piattaforme per l’omnicanalità si stanno rapidamente evolvendo e oggi la vendita al dettaglio si trova di fronte non solo a un grande potenziale di miglioramento incentrato su un’eccellente esperienza del cliente, quanto ad una scelta potenzialmente esiziale: partecipare a questo cambiamento proattivamente o arroccarsi in una strategia difensiva incentrata sul contenimento dei danni a breve termine.


La vendita al dettaglio in ambito consumer non può prescindere dalla capacità di evolversi, adattarsi e trasformarsi. Molti dei migliori rivenditori hanno effettuato transizioni nei processi e nelle operazioni aziendali per garantire esperienze del cliente seamless.

Le tecnologie sono state implementate nei negozi fisici per offrire i vantaggi di acquisti online.
Le tecnologie al dettaglio giocano un ruolo fondamentale nella trasformazione dei processi di vendita al dettaglio frammentati in operazioni omnicanale perfettamente integrate. Questo articolo discute brevemente e in forma didascalica il ruolo della computer vision applicata al machine learning in questo nuovo panorama della vendita al dettaglio e diversi tipi di tecnologie che supportano la vendita al dettaglio omnicanale.

Come migliorare la soddisfazione nell’esperienza attraverso la computer vision?

La magia è nei dati.


Come per la maggior parte delle attività umane, le probabilità di avere successo dipendono in buona parte dalla qualità dei dati, vogliamo prendere decisioni razionali basate sui fatti e, se saremo bravi, su patterns e per poterlo fare i nostri dati dovranno essere:


Significativi: i numeri devo saper rappresentare delle situazioni rilevanti per il nostro business, a meno che il nostro business e la nostra value proposition siano molto specifici, concentriamoci inizialmente sulle KPI più rilevanti (tralasciando cose come barba, baffi, colore degli occhi etc…) per formarci un quadro concreto della situazione:

  • I click: qual’è il potenziale della location?
  • Le sessions: quanto “convertiamo” questo potenziale in utenti che entrano?
  • Il bounce rate: quanti di questi utenti escono senza vivere l’esperienza nello store?
  • La duration: quanto tempo resta in negozio, in media, il nostro utente.

A queste KPI di base possiamo aggiungerne altre, mano a mano che prendiamo confidenza con lo strumento e se integriamo nel flusso di dati anche quelli provenienti dai sistemi di cassa.


Consistenti: non è fondamentale sapere con precisione cardinale se sono entrate 97 o 99 persone, o se 62 invece di 64 erano donne, gli strumenti di people counting basati sulla computer vision possono sbagliare estemporaneamente, introducendo piccole aberrazioni, l’importante è che il dato sia consistente nel tempo e capace di far emergere dei trend rilevanti.


Estesi: i numeri devono essere come pezzi di puzzle, messi ciascuno nella posizione corretta devono rappresentare qualcosa di significativo, altrimenti tanto vale non raccoglierli. Se, ad esempio, il sistema non è in grado di rilevare il numero di unique users (come ad esempio nei sistemi people counting a fotocellula di vecchia generazione) e la durata di ciascuna sessione, diviene impossibile creare uno scenario qualitativo di come i nostri utenti si comportano nello store.


Affidabili: non è così scontato come potrebbe sembrare, il sistema di sensori deve essere in grado di funzionare in tutte le condizioni ambientali previste e On Premise per minimizzare il TCO e garantire un ROI positivo, restare operativo senza connettività, capire quando c’è un problema tecnico e cercare di risolverlo in autonomia o segnalarlo, essere spento senza shutdown e ripartire in autonomia al ritorno della corrente.


Aggiornati: più ampio è il ritardo nella ricezione (e nell’elaborazione) dei dati minore sarà la capacità di reagire tempestivamente. Anche se la maggior parte delle analisi strategiche possono (o devono) essere fatte a distanza di settimane o mesi, per le azioni tattiche (ad esempio dei picchi di traffico inaspettati) è importante disporre dei dati entro poche ore dalla loro rilevazione.


I dati sono i pezzi del puzzle della customer journey map, se sono troppi, pochi, tagliati male, rovinati o incoerenti non servirà a molto cercare di metterli assieme per prendere decisioni, ci offriranno comunque una rappresentazione distorta o parziale dalla quale discendono scelte pseudo-razionali.

 

Nel prossimo post inizieremo il percorso di analisi dei dati e cercheremo di identificare con casi pratici quali KPI ci forniscono le informazioni più interessanti per prendere decisioni critiche per il nostro store fisico.

io-retail

Io Retail, tu Retail, noi Re-Store

Munogu Retail Analytics

Nel 2020, le vendite via e-commerce hanno rappresentato oltre il 15,5% delle vendite al dettaglio in tutto il mondo, in termini di acquisti 1 su 4 è avvenuto online, nel 2021 l’incremento anno su anno è atteso al 4,4% (source: Statista).

Un numero crescente di commentatori e studi concorda sul ridimensionamento dello scenario della “Retail Apocalypse” in favore di un radicale cambio di paradigma, già in atto, che ridefinisce alcuni concetti di base, come ha efficacemente analizzato Luca Innocenzi nel post “Retail e COVID – speranze e strategie”.

La realtà è che in ogni caso, anche nello scenario peggiore e meno probabile, il Retail rappresenterà ancora ampiamente la fetta di gran lunga più importante del fatturato per la maggior parte dei brand, restando al centro delle strategie di business e provando semmai a “unirsi per osmosi” all’online, attraverso progetti di riconversione culturale all’interno dell’azienda e investimenti sensati nell’ambito dell’integrazione orientata all’omnicanalità.

Il Retail non è finito, va solo ripensato.

Partendo da questo presupposto il Retailer più scaltro non può che scegliere di iniziare un percorso di conoscenza e consapevolezza, domandandosi innanzitutto quali sono le pratiche e gli strumenti che può “mutuare” dall’online e se da questi ne può trarre un qualche beneficio specifico.

Ora proviamo a porci insieme questa domanda: 

è ammissibile nel 2021 che un qualsiasi sito di ecommerce possa fare a meno di un sistema di Analytics Data Driven? (ad esempio Google Analytics giusto per citare uno tra i più diffusi).

Chiaramente no, neanche il sito ecommerce più irrilevante la considererebbe un’opzione.

Un sistema di Analytics fornisce metriche sempre più approfondite e articolate; ci dice quanti accedono al sito, cosa vedono, in quali giorni, in quali orari, da dove, con quale device, quali ricerche hanno fatto, quanto rimangono sul nostro sito, se sono uomini donne, in che fascia d’età e via discorrendo… ci spiega in dettaglio chi sono i nostri clienti, cosa si aspettano e se apprezzano le nostre iniziative e i nostri prodotti.

E allora, “ceteris paribus”, perchè per sviluppare il 15,5% (in media) di fatturato le riteniamo fondamentali e per il restante 84,5% ci limitiamo magari ad aggregare le statistiche sul venduto, o ad usare un banale contapassi?

Per logica e per disponibilità di budget dovremmo prima di tutto preoccuparci di presidiare quell’84,5%, studiarlo, proteggerlo, se possibile capirlo e svilupparlo in una prospettiva “customer oriented”, come facciamo normalmente sul sito ecommerce.

E allora perchè succede ancora così timidamente tra i grandi retailer?
Tralasciando tutti i motivi secondari, per due ordini di motivi.

1 – implementare un sistema di analytics su un sito ecommerce è relativamente economico.

E’ un calcolo semplice: se per implementare una strategia data driven online devo spendere anche molto, assumere specialisti, consulenti, investire in piattaforme etc, il centro di costo è unico, il suo impatto sul ROI si confronta interamente con quel 15,5% di ricavi, presumibilmente in crescita.

Per inverso il monitoraggio di ogni singolo store fisico non è centralizzabile, ha dei costi interni e l’investimento complessivo è, come minimo, la somma di quelli di ogni singolo store, per questa ragione è fondamentale che il costo di adoption e di possesso per singolo store sia sufficientemente basso da essere confrontabile, una volta aggregato, con quello online, in base a una proporzione sui livelli di fatturato complessivo e tenendo anche conto dei vantaggi addizionali derivanti dall’unione dei due dataset all’interno di un unico ecosistema di Business Intelligence integrato.

Facciamo un esempio, didascalico:

Se il mio fatturato complessivo è 100, e gli Analytics contribuiscono in maniera decisiva a produrre un più 4,4% medio di incremento annuale sull’online, la soglia di utilità del mio investimento dovrà restare il più ampiamente possibile sotto il 2-3% di quel 15,5% di fatturato online, per garantire un ROI positivo.
Il retailer razionale sarà disposto ad investire una cifra massima compresa tra 0,31 e 0,465.

Se il mio fatturato complessivo è 100, e i Retail Analytics contribuiscono in maniera decisiva a produrre un più 2-3% medio di incremento annuale in ambito Retail, la soglia di utilità del mio investimento dovrà restare il più ampiamente possibile sotto l’1-2% di quel 84,5% di fatturato, per garantire un ROI positivo.
Il retailer razionale sarà disposto ad investire una cifra massima compresa tra 0,845 e 1,69.

2 – gli strumenti per produrre i dati non si sono dimostrati all’altezza

Chiarito il perimetro di rilevanza e valore di questa classe di strumenti il tema si sposta sulla disponibilità: esistono strumenti con un grado di maturità tale da garantire consistenza dei dati, costi totali di possesso inferiori ai livelli soglia del ROI, basso impatto sui processi e sui costi di infrastruttura garantendo al contempo leggibilità dei dati, tutela della privacy dei clienti, apertura verso ecosistemi tecnologici diversi, estendibilità del perimetro di intervento a contesti quali Smart Digital Signage ed esperienzialità, il tutto integrato in un’unica piattaforma?

Beh, a questa domanda non risponderò, perchè immagino lo abbiate fatto da soli.

InfiniteJourney

Retail e COVID – speranze e strategie


Sentiamo parlare di “retail apocalypse”, ovvero della fine del retail nella sua attuale forma, ormai da molti anni.

I numeri sembrerebbero parlare chiaro: stando all’Osservatorio del Politecnico di Milano, infatti, solo in Italia, tra il 2010 ed il 2018, sono scomparsi 61.789 punti vendita.

Numeri da vera ecatombe ed in grado di sancire profondi mutamenti anche nella fruizione degli spazi urbani e dell’accessibilità ai servizi.

La drammatica crisi legata alla pandemia, inoltre, sembra aver impresso una forte accelerazione a tutti i processi di disruption generati dalla digitalizzazione degli acquisti e della fruizione dei servizi.
Il new normal, come ormai viene definito lo scenario di consumo post pandemia, sembra, inoltre, suggerire l’affermazione definitiva del paradigma della “distanced consumption”, ovvero del consumo a distanza in qualità di consumo sicuro, al riparo da rischi e preferito dagli utenti, soprattutto da quelli con maggiori disponibilità economiche e miglior accesso alla tecnologia (il concetto deriva, infatti, da quello di  “conspicous consumption” introdotto da Veblen) . Quale altro strumento garantisce accesso migliore a prodotti e servizi in modalità remota, se non il web?

Il modello legato al retail fisico “tradizionale” sembrerebbe, dunque, entrato in un processo di crisi irreversibile.
Ma è veramente così?

Una recentissima ricerca di Kearney ha evidenziato come, seppur sussista una forte propensione per l’e-commerce, circa l’81% dei ragazzi della GenZ preferisca comunque fare acquisti nei negozi fisici. Secondo i risultati della ricerca lo shopping tradizionale permetterebbe di scoprire altri prodotti in modo più efficace e di disconnettersi, almeno temporaneamente, dai social media.Nella classifica dei contesti retail preferiti dalla GenZ spiccano, poi, i flagship store dei Brand. 

Anche McKinsey, grazie ad una recente survey sul settore grocery, ci spiega come i consumatori si siano votati all’acquisto online spinti dall’emergenza COVID, facendo registrare tassi di crescita record, (in Italia pari anche al 100%). Ma la tendenza è momentanea e si prevede un ritorno massiccio allo shopping presso gli store fisici, con outlook negativi per la percentuale di vendita online in quasi tutti i Paesi EU-5.

Tutto ci indica, quindi, che l’unico vero paradigma di consumo dei prossimi anni sarà quello legato all’omnicanalità, nel quale esperienze di acquisto online e offline si fondono in una sorta di “infinite customer journey”. Il consumatore si muoverà in maniera fluida tra contesto di acquisto digitale e contesto fisico. Con tutta probabilità la conclusione del processo di acquisto si sposterà progressivamente online, ma il livello di servizio garantito all’utente dovrà essere strutturato in modo tale da poter replicare l’esperienza fisica nell’online mentre l’esperienza in store dovrà essere totalmente integrata rispetto a quella digitale.

In Munogu crediamo, quindi, che il futuro prossimo del retail sarà, l’Omniexperience, ben oltre l’omnicanalità.
Si tratta di un’esperienza di acquisto “senza confini”, concepita intorno alle esigenze del consumatore ed altamente coinvolgente, nella quale tutti i “touch-point” sono connessi tra loro grazie alla Tecnologia, al Marketing ed al CRM. “Il negozio” si trasformerà in un’“agorà”, all’interno della quale i consumatori potranno sperimentare e scoprire i prodotti per poi perfezionare il loro acquisto dove preferiscono. Il flagship store in particolare, dovrà farsi anche carico di rendere tangibili i valori del Brand che rappresenta.

L’obiettivo finale è la creazione di maggiore valore per l’Azienda attraverso la massimizzazione del Customer Lifetime Value (on-life customer).

Per far fronte ai paradigmi dell’Omniexperience, lo spazio di vendita fisico dovrà assumere la connotazione di “contesto profondamente esperienziale”. Beninteso, per contesto esperienziale non intendiamo uno spazio infarcito di tecnologie fine a sé stesse e slegate tra loro, quasi fossero un puro divertissement per fornire  spunti interessanti agli uffici PR.
Seguendo il modello “della hidden technology”, teoria che ispira da sempre le soluzioni di Munogu, la tecnologia dovrà perciò mettersi al servizio del consumatore senza mai diventare invasiva, pena la costruzione di un contesto eccessivamente complesso e contrario alle logiche di assoluta fluidità dell’esperienza di acquisto richiesta dal modello omniexperience. Per essere efficace l'”effetto wow” deve essere concepito con l’obiettivo di convertire, non di stupire.

Purtroppo, le aziende hanno poco tempo per disegnare questa nuova customer journey in un contesto di mercato divenuto ora impervio ed imprevedibile.
Già nel 2019, se prendiamo ad esempio il solo settore fashion, la customer retention sfiorava infatti il 91% per quei retailer con strategie omnichannel efficaci già implementate mentre si fermava al 39% per i player privi di un approccio omnicanale. Il “new normal” aprirà un ulteriore solco tra Aziende in grado di venire incontro alle mutate esigenze dei consumatori e quelle che vedranno semplicemente ridursi il numero dei loro punti vendita e le proprie quote di mercato.

Per velocizzare il processo di trasformazione bisogna dotarsi in fretta di strumenti e di conoscenze atte a garantire una transizione verso il modello “omniexperience”, mantenedo un ROI positivo. Il tutto deve avvenire partendo dall’implementazione di tecnologie e strumenti per l’analisi del contesto.

Come per il digitale, infatti, anche per il retail “il dato” diventa il cardine di ogni decisione strategica: retail analytics avanzate dovranno essere velocemente integrate nell’infrastruttura per ottenere informazioni inconfutabili sul target, sulle sue abitudini all’interno del punto vendita e sulla performance degli spazi Retail e del loro layout.

Proprio grazie alla sua capacità di combinare in un unico strumento di AI servizi di retail analytics avanzati (biometrici e non) ed esperienze in-store uniche, semplici ed innovative, che mettono in costante relazione il contesto fisico con quello digitale, Kiosk, il corpus di tecnologie abilitanti per l’omniexperience di Munogu, si è guadagnato un posto di riguardo all’interno del Microsoft Technology Center di Milano ed un prestigiosa clientela che conta, tra gli altri, FCA, Scavolini, Breil, Porsche US e Poste Italiane.

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Armocromia

Armocromia: Una nuova opportunità per il mondo retail


Non è bello ciò che è bello ma è bello ciò che piace dicevano, e sebbene questo detto, un inno alla libertà di espressione e all’insindacabilità dei gusti, sia sempre stato utilizzato nei settori beauty e fashion per legittimare una scelta d’acquisto, ad oggi il dubbio sulla veridicità di questa affermazione sembra prendere sempre più piede nell’ambito della beauty consulting: Sarà veramente ancora così?

La risposta è no e a dircelo è l’armocromia, una branca della consulenza di immagine che ha dato una base scientifica al concetto di bello in un settore in balia di mode o gusti, stilando meticolose linee guida da seguire con il massimo rigore per la costruzione di un look di successo basato sulle caratteristiche cromatiche di ogni singolo soggetto.

Il concetto di armocromia, che etimologicamente significa “armonia dei colori”, fonda le radici nella pittura Bauhaus di Johannes Itten, pittore ritrattista che per primo portò l’attenzione sull’importanza della scelta del paesaggio da utilizzare come sfondo di un ritratto, accorgendosi di come i colori del viso in primo piano fossero valorizzati o spenti a seconda delle tonalità della stagione utilizzata in background.

I risultati di questa ricerca cromatica ebbero presto un’applicazione nell’ambito fashion e beauty con la pubblicazione, alla fine degli anni ’70, del libro Color me a Season di Bernice Kenter, cosmetologa e consulente di immagine che per prima formalizzò il concetto di Seasonal Theory, teoria secondo la quale i colori del viso di ogni persona sono in armonia con i colori tipici di una delle quattro stagioni, i quali, se utilizzati nella scelta di vestiti, accessori o beauty valorizzano l’incarnato rendendo il viso più bello, sano ed armonico.

La color analysis, ovvero l’analisi dei colori naturali di un viso, si basa su uno studio delle tonalità, dei contrasti e dell’intensità delle cromie dei principali elementi del volto, che determinano l’appartenenza di un soggetto ad una delle quattro stagioni, ognuna delle quali associata ad una specifica palette di colori chiamati colori amici, un vero e proprio vademecum nella scelta di capi, accessori e makeup.

La saturazione, il valore e l’intensità dei colori presenti in ogni palette sono formulati per adattarsi perfettamente al viso del soggetto secondo scientifiche leggi cromatiche basate su effetti ottici di accentuazione o attenuamento dei colori in base alla loro associazione e vicinanza.

Sebbene i principi dell’armocromia siano da tempo riconosciuti e utilizzati dagli esperti del settore, il fenomeno è diventato un trend in Italia solo alla fine del 2019, grazie all’influencer e consulente di immagine Rossella Migliaccio e al libro edito da Vallardi, Armocromia. Il libro, che consiste in un manuale sulle regole che governano l’armocromia e la classificazione per stagioni, è diventato un best seller, tanto da spingere le sue follower a coniare il termine Armofollia.

Il fenomeno, che ha visto numerose consulenti di immagine specializzarsi nella color analysis per rispondere alla crescente domanda, costituisce ad oggi una grande opportunità per i brand in ambito fashion e beauty che hanno l’opportunità di sfruttare le diverse potenzialità del trend per pianificare attività di marketing capaci di attrarre consumatori, aumentare la brand retention ed allargare il bacino di utenti con esperienze di acquisto più complete e customizzate.

Dalla partnership Munogu con BBC Technologies è nata dunque un’esperienza pensata per portare l’analisi del colore all’interno del punto vendita, utilizzando tecnologie capaci di rilevare le cromie di un viso tramite l’acquisizione di una foto da una camera, garantendo una color analysis precisa ed immediata.

Effettuare un’analisi del colore in store, oltre a costituire un servizio innovativo che risponde ad una domanda in crescita, rappresenterebbe per l’azienda un’iniziativa drive to store ideale come punto di partenza per costruire un’azione omnichannel che coinvolga sinergicamente l’esperienza in store e online, con benefici sia lato cliente che corporate, tramite la costruzione di una nuova esperienza di acquisto più veloce e personalizzata.

La color analysis renderebbe innanzitutto più consapevole e autonomo il cliente nella fase decisionale, offrendo un servizio che oltre che essere engaging, sia di effettiva utilità pratica, capace di arricchire e semplificare l’esperienza in fase di scelta e portando ad una maggior soddisfazione post acquisto.
La maggior consapevolezza dei consumatori andrebbe poi associata ad una catalogazione dei prodotti in stagioni, agevolandone la customer journey sia in store, con un portfolio organizzato in base alle diverse tipologie cromatiche, sia sull’e-commerce, con la possibilità di personalizzare ulteriormente il profilo utente e di filtrare i prodotti secondo le proprie cromie.

Questo servizio, oltre che costituire un valore aggiunto capace di aumentare la brand retention e allargare il bacino clienti nel punto vendita, avrebbe un impatto sia sulla fidelizzazione, legando i consumatori attuali e potenziali ad un’esperienza di acquisto fortemente legata al brand, sia sulla brand reputation, dimostrando attenzione ed inclusività verso tutte le caratteristiche fototipiche, permettendo, poi, all’azienda di attuare un data collection basato su un nuovo criterio di segmentazione oggettivo e su dati immutabili nel tempo, utili per iniziative CRM e di advertising personalizzato.

Il tema si presta, inoltre, a fungere da perno attorno a cui pianificare strategie di comunicazione in cui coinvolgere sia influencer che opinion leader del settore, e su cui costruire eventi social capaci di generare contenuti prodotti autonomamente dai consumatori, contribuendo al trend setting del fenomeno.

L’applicazione dell’armocromia al mondo retail costituisce, dunque, un terreno fertile e ancora debolmente esplorato dalle aziende, su cui progettare azioni incrociate capaci di fare la differenza in un periodo in cui il consumatore necessita di un valido motivo per ritornare in negozio dopo un anno che ha stravolto le abitudini di acquisto di molti, iniziandoli all’online.

Se dunque al quesito iniziale abbiamo già risposto, evidenziando come le scelte di acquisto siano ormai governate da una nuova concezione di “bello” regolamentato da precise regole scientifiche, ad oggi la domanda che ci poniamo è nuova ma che avrà sicuramente una risposta nel breve termine: quale brand saprà per primo sfruttare le potenzialità di questo trend facendone un’importante occasione di crescita del proprio business?

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COVID-19 e Infodemia: le due sfide globali per il mondo della ricerca

La diffusione del COVID-19 ha portato ricercatori e aziende di tutto il mondo ad accelerare i processi di innovazione ed esplorazione di aree con un alto potenziale di evoluzione in termini tecnologici.

Le aree di analisi e sviluppo sono principalmente orientate a mitigare la trasmissione, favorire l’individuazione del virus , comprendere l’impatto sociale ed economico e definire nuove modalità di comportamento, nuovi sistemi per regolare transazioni, per erogare prodotti e per migliorare efficienza e velocità dei servizi.

La mobilitazione del mondo scientifico e della ricerca tecnologica è poderosa e la pubblicazione di articoli scientifici sul tema Covid ha visto numerose e interessanti connessioni con i temi legati a “machine learning”, “artificial intelligence”, “deep learning”, e “neural network”.

COVID-19: I campi di applicazione della AI in medicina

L’Intelligenza Artificiale trova le sue applicazioni in ambito clinico ma anche in ambito sociale. Non dimentichiamo infatti che la principale variabile di diffusione di COVID-19 è rappresentata dalla socialità e dal contatto con altre persone.

In campo clinico ad esempio il Machine Learning è utilizzato per comprendere il livello di infettività del SARS-Cov-2

In sintesi:
- vengono identificate le parti della sequenza proteica del virus che sono maggiormente associate con infettività a tasso di mortalità alto (alto-CFR)
- si utilizza il machine learning (apprendimento automatico) per mettere in atto una tecnica interpretativa che consentirà di individuare altri casi ad alto tasso di mortalità “potenziale” ma in maniera preventiva.

Un altro esempio è rappresentato dalle tecniche di monitoraggio che vedono l’utilizzo di tecniche di Computer Imaging.
Le immagini mediche di casi COVID-19 (raggi x come ad esempio le radiografie toraciche o i grafici relativi alla funzionalità di reni) vengono classificate e utilizzate per identificare altri casi , aiutare i medici ad interpretare l’andamento dell’infezione e agire in maniera preventiva.
Queste informazioni sono inoltre una ulteriore fonte di apprendimento per il mondo della ricerca e possono agevolmente essere messe a fattore comune per elaborare nuove strategie di contrasto alla pandemia. 


Infodemia: una minaccia che viene dal web

L’intelligenza artificiale può essere applicata anche per valutare modelli di contenimento del virus e scelte di politica pubblica.
Ad esempio si possono identificare somiglianze o differenze nell’evoluzione della pandemia fra differenti regioni e le connessioni con la propagazione di disinformazione, di comportamenti antisociali o campagne di odio.
Queste strategie interpretative basate sul monitoraggio dell’informazione e del linguaggio attraverso AI, hanno consentito di individuare anche un altro tipo di virus sociale legato al linguaggio e all’informazione. Parliamo di quella che è stata definita “infodemia*”

Gli esperti hanno infatti individuato un Indice di Rischio Infodemia (IRI), per quantificare e comprendere il tasso di esposizione di un paese o di una regione a messaggi associabili al fenomeni di odio e infodemia e veicolati attraverso le principali piattaforme social. L’individuazione di trend nelle conversazioni e l’individuazione e classificazione delle principali fonti (utenti verificati, fonti affidabili o istituzionali, bot o utenti che in relazione all’elevato numero di post e tipologia di contenuto possono essere considerati come poco affidabili) consente di contenere i rischi di una ulteriore espansione del COVID-19 legati proprio a comportamenti negazionisti e alla disinformazione.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità (WHO) sta infatti osservando in maniera proattiva il fenomeno dell’infodemia perché è strettamente legato all’andamento della pandemia è ha delle importanti implicazioni sulla diffusione del virus COVID-19.

COVID-19 e Infodemia possono avanzare in maniera proporzionale e con strette correlazioni e per questa ragione ancora una volta il ruolo dei Tech Giant diventa cruciale e controverso.

*Infodemic: an over-abundance of information – some accurate and some not – that makes it hard for people to find trustworthy sources and reliable guidance when they need it” and deems it a second “disease” which needs fighting (WHO)

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Interfacce naturali uomo-computer e nuovi linguaggi

Le interfacce uomo-computer stanno cambiando il modo in cui si svolgono le esperienze nel mondo reale.
Quando fra uomo e macchina si intende stabilire una interazione, vediamo mettersi in atto domande cognitive su entrambi i fronti: macchina e uomo. Da un lato alla macchina viene richiesto di comprendere sulla base di quanto precedentemente appreso (machine learning), dall’altro all’uomo viene richiesto di limitare e semplificare il linguaggio e le interazioni utilizzando comandi vocali, tattili e gestuali privi di qualsiasi variante interpretativa. Ce lo insegnano ad esempio i popolarissimi smart speaker o altri dispositivi ASR (Automatic Speech Recognition). Questi sistemi, basati su grammatica, termini lessicali e moduli di riconoscimento acustico, ci hanno educato ad esprimerci in maniera semplificata.

 

Il successo di questi strumenti ASR  è dovuto al fatto che gli utenti possono interagire direttamente con il computer senza utilizzare un dispositivo intermedio (ad esempio, mouse, tastiera), senza particolari skill tecnologiche, addirittura riducendo la struttura grammaticale del linguaggio e la qualità lessicale al minimo necessario.
Non è un caso che anche i bambini di appena un anno riescano ad interagire con questi strumenti e da diverse parti si è sollevato il dubbio che questi strumenti possano dare luogo a distorsioni cognitive o comportamentali. Altri si domandano come i bambini interagiscano con questo tipo di tecnologia, come determinati strumenti possano influire sul loro sviluppo e sulla qualità delle loro interazioni con le persone, altri studiano il modo in cui i bambini cercano di concettualizzare questi strumenti ad esempio immaginando che ci siano piccole persone all’interno o che siano oggetti con una personalità. 

Ma lasciamo aperto questo discorso a psicologi e pedagogisti o alle personali riflessioni, e torniamo al centro del nostro tema: come le interfacce naturali  possono migliorare il modo in cui ci rapportiamo al mondo reale?

La naturalezza con la quale i bambini sono in grado di interagire con questi sistemi ci porta in verità a riflettere su un fattore critico di successo che caratterizza i sistemi basati su NUI design, ne consegue dunque un assunto che possiamo formulare così: tanto più l’interfaccia si configura come naturale tanto più si può sperare che ci sia un’adozione spontanea o una fruizione senza imprevisti o frizioni.

La prima domanda da porsi nella progettazione di questi strumenti basati su NUI è relativa alla natura di queste interazioni (vocali o gestuali): quali interazioni possono essere considerate naturali? La “naturalezza” delle interfacce basate sui gesti molto spesso si configura e si manifesta in maniera efficace quando interpreta azioni che l’individuo naturalmente svolge per manipolare un oggetto fisico (es.: swipe). Poi ci sono gesti che possiamo definire arbitrari ma ampiamente diffusi (es.: like, pollice su).

Questi sono solo alcuni degli aspetti che concorrono nella progettazione di un sistema basato su AI e NUI ma per tutti la prova rimane legata alla capacità di innescare una esperienza fluida, corretta e senza sforzi cognitivi.

Questo scenario ci riporta alla possibilità di ridurre le eccezioni comportamentali nelle esperienze offerte in un negozio o in uno spazio pubblico e di ridurre di conseguenza i costi di gestione di tali eccezioni.
Usiamo il corpo come strumento per generare un’informazione di tipo basico come ad esempio la presenza o nostra assenza. Questa semplice informazione produce una reazione automatizzata (ad esempio apertura, chiusura, accensione, spegnimento, etc…).
Ma quando il corpo, i movimenti e i gesti generano informazioni più complesse e comprensibili per i sistemi basati su NUI e AI possiamo parlare di linguaggio, quel linguaggio che produce non più semplici reazioni automatizzate ma vere e proprie interazioni collaborative con le macchine. I sistemi basati su AI e NUI applicati al contesto reale consentono di promuovere cambiamenti virtuosi soprattutto in situazioni come quella che stiamo vivendo in cui la responsabilità individuale deve essere affiancata da una costante attività di educazione al senso civico a volte imposta, regolata o sanzionata da sistemi tecnologici digitali che permettono di rilevare le anomalie comportamentali.

Interagire con il mondo ora significa anche interagire con il mondo digitale, vuol dire paradossalmente essere presenti contemporaneamente in due spazi, quello reale e quello digitale dove la nostra presenza e le nostre interazioni, opportunamente codificate, possono essere osservate e interpretate in maniera relativa.

Senza avventurarci nell’impresa ardimentosa di combinare la meccanica quantistica con il digitale, possiamo accontentarci di una chiara percezione che deriva dalle nuove esperienze indotte dalla velocità delle comunicazioni, dall’accessibilità alle informazioni, dalla necessità di ridurre il contatto e la presenza nel mondo fisico. Appare evidente che siamo portati sempre di più ad interagire e utilizzare molteplici e diverse dimensioni, siamo sempre più abituati a esperienze omnicanali e multilivello, e stiamo sperimentando dimensioni che necessitano di essere comprese, codificate e “sfruttate”.

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Tecnologie per il retail: indici di produttività e qualità ambientali

La pandemia ha ridefinito innumerevoli parametri che prima regolavano standard qualitativi di servizio o dell’esperienza.  Quella che è a tutti gli effetti una dura sfida per le società si configura anche come un’opportunità irripetibile offerta ai retailer per riconnettersi con i consumatori in modi nuovi, avvalendosi di tecnologie che abilitano l’omnicanalità e applicano criteri di misurazione all’ambiente entro il quale si svolge l’esperienza.

In questo scenario si colloca Space Saver, una tecnologia in grado di gestire il distanziamento sociale e al contempo analizzare qualità e performance dell’ambiente.

Il design del sistema di Business Intelligence integrato in Space Saver è finalizzato al raggiungimento dei seguenti obiettivi:

produzione di actionable data: i dati prodotti dai sensori spaziali collocati nell’ambiente (ufficio o negozio) vengono pre-elaborati on premise e quindi inviati all’aggregatore che a sua volta, a cadenza giornaliera, li rende disponibili come data source Json like per il sistema di BI.
Il data source viene quindi analizzato dalla BI e genera una serie di indicatori di sintesi che hanno lo scopo di fornire un “cruscotto” dal quale poter ricavare rapidamente informazioni chiave isolando cluster geografici, tag di gruppi di negozi, singoli negozi e/o range temporali specifici.
capacità di essere esteso ed integrato: la disponibilità presso gli endpoint di aggregazione, la struttura informativa dei data sources e l’approccio Json like consentono l’utilizzo dei data sources anche in contesti esterni, ad esempio in altri sistemi di BI (Kibana, Data Studio, Klipfolio, Tableau, etc…).
decoupling del sistema di BI dalla piattaforma di produzione dei dati: la separazione infrastrutturale tra il sistema che produce i data source aggregati e il processo di produzione del dato rende possibile il contenimento generale dell’entropia e la separazione formale dei processi, in questo modo è possibile modificare il sistema degli adapters senza impattare il sistema di erogazione del servizio (e viceversa) “by design”.
contenimento del TCO e scalabilità: l’attività di pre-processing on premise consente l'efficientamento del processo di aggregazione dei dati, questo si traduce in un design di ispirazione peer-to-peer che consente un abbattimento dei costi di elaborazione centrale e un miglioramento della fault tolerance anche nel caso uno dei nodi (ambiente, ufficio o negozio) si renda temporaneamente indisponibile
creazione di un sistema di reportistica proattiva: al fianco dell’opzione di consultazione del sistema di BI finalizzato ad indagini specifiche ed estemporanee è possibile predisporre un sistema di “triggers” (cd. “reportistica dinamica”) che consente al sistema di BI di inviare, periodicamente e in autonomia, avvisi specifici sui più significativi fenomeni tendenziali associati alle KPI stimolando direttamente l’esecuzione di “next best actions” codificate.

Andremo ora ad analizzare gli elementi di “valore” della suite Space Saver in termini di contribuzione rilevante e misurabile al miglioramento delle attività di business, in particolare riferimento a:

  • generazione istantanea e periodica di indici di produttività ambientali (contributo informativo).
  • efficientamento del contributo al valore del personale di servizio e assistenza (contributo di processo).
  • strategie di moral suasion (contributo cognitivo).

Gli design degli indici è guidato dall’obiettivo di fornire strumenti pratici e rilevanti per prendere decisioni critiche in un contesto data-driven

Generazione istantanea e periodica di indici di produttività ambientali

Il sistema di Business Intelligence integrato nella suite Space Saver consente di individuare i seguenti valori:

Indice di produttività TUI (Tasso di Utilizzo degli impianti): identifica gli ambienti ( ad esempio i negozi o uffici) con performance differenziali (migliori/peggiori) in termini di capacità di gestire l’afflusso e la journey dei clienti e standardizzare un processo di valutazione dello sfruttamento economico degli spazi.
Quali decisioni ci aiuta a prendere?
TUI ci informa, con un approccio “journey centred” di quali negozi o uffici sono maggiormente sotto pressione in termini di afflusso o viceversa quali risultano maggiormente sotto utilizzati, a prescindere dalle condizioni di sicurezza sul distanziamento.

Indice di sicurezza IDS (Indice di Distanziamento Sociale): identifica gli ambienti con criticità (migliori/peggiori) sotto il profilo socio-sanitario in relazione alle policy di distanziamento sociale.
Quali decisioni ci aiuta a prendere?
TUI IDS ci informa, con un approccio “journey centred” di quali negozi o uffici registrano le maggiori criticità sotto il profilo del rispetto delle policy sul distanziamento fisico e sul grado relativo di tali violazioni, consentendoci di intervenire in modo specifico nei contesti di maggiore rischio.

Indice di produttività in sicurezza TUI-IDS
Identifica gli ambienti con performance critiche sotto il profilo del bilanciamento tra performance e capacità di gestire le policy di distanziamento sociale.
Quali decisioni ci aiuta a prendere?
TUI-IDS ci informa, con un approccio “journey centred”, di quali negozi o uffici registrano il maggiore/minore numero di violazioni alle regole sul distanziamento e se queste sono da attribuirsi a un sottodimensionamento del negozio rispetto all’utenza potenziale o ad altri fattori (scarsa attenzione del personale di assistenza, scarsa propensione culturale al rispetto delle regole, etc..).

Efficientamento del contributo al valore del personale di servizio e assistenza

Con l’adozione dei servizi Space Saver ci si prefigge di favorire il lavoro del personale di servizio o di assistenza in negozio e di dotarsi degli strumenti per valutarne l’efficacia, tendenzialmente senza impattare sulle prerogative e sulle procedure che già sono implementate presso il punto vendita.

Le leve di ottimizzazione sono:

valutazione: creare uno strumento di valutazione dell'efficienza e dell’efficacia dell’azione dell’operatore.
motivazione: l’operatore, consapevole del programma di monitoraggio, sarà verosimilmente spinto a migliorare la propria performance, l’eventuale ricorso a programmi di gratificazione morale e/o economica potrebbero inoltre aggiungere elementi di gamification in grado di innescare ulteriori pattern virtuosi in termini di impatto sul commitment dell’operatore.
strumenti: dotare l’operatore di nuovi strumenti di intervento e supporto alla sua attività
automazione: la parziale automazione nei processi di segnalazione dei pericoli e delle regole di accesso introdotte con Space Saver consentono un alleggerimento della pressione sull’operatore, una oggettivizzazione del suo intervento e l’eliminazione parziale di una serie di interventi che lo espongono al contatto con i clienti.

Strategie di moral suasion (contributo cognitivo).

Space saver è un sistema in grado di attuare strategie di moral suasion o mirate al cambiamento comportamentale.
La presenza, esplicita e comunicata, di un sistema di rilevazione automatica delle violazioni alle regole sul distanziamento sociale, può in questo senso innescare comportamenti preventivi di auto-censura e auto-repressione, dai quali possa derivare un incremento naturale della propensione al rispetto delle regole di comportamento da parte delle persone che ne sono consapevoli.
L’introduzione del servizio dovrebbe essere, in questo senso, di per sè in grado di avere un impatto concreto e positivo sulla tendenza della clientela e dei collaboratori a rispettare le regole sul distanziamento fisico.

 

Scopri di più su Space Saver

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