Nel 2020, le vendite via e-commerce hanno rappresentato oltre il 15,5% delle vendite al dettaglio in tutto il mondo, in termini di acquisti 1 su 4 è avvenuto online, nel 2021 l’incremento anno su anno è atteso al 4,4% (source: Statista).
Un numero crescente di commentatori e studi concorda sul ridimensionamento dello scenario della “Retail Apocalypse” in favore di un radicale cambio di paradigma, già in atto, che ridefinisce alcuni concetti di base, come ha efficacemente analizzato Luca Innocenzi nel post “Retail e COVID – speranze e strategie”.
La realtà è che in ogni caso, anche nello scenario peggiore e meno probabile, il Retail rappresenterà ancora ampiamente la fetta di gran lunga più importante del fatturato per la maggior parte dei brand, restando al centro delle strategie di business e provando semmai a “unirsi per osmosi” all’online, attraverso progetti di riconversione culturale all’interno dell’azienda e investimenti sensati nell’ambito dell’integrazione orientata all’omnicanalità.
Il Retail non è finito, va solo ripensato.
Partendo da questo presupposto il Retailer più scaltro non può che scegliere di iniziare un percorso di conoscenza e consapevolezza, domandandosi innanzitutto quali sono le pratiche e gli strumenti che può “mutuare” dall’online e se da questi ne può trarre un qualche beneficio specifico.
Ora proviamo a porci insieme questa domanda:
è ammissibile nel 2021 che un qualsiasi sito di ecommerce possa fare a meno di un sistema di Analytics Data Driven? (ad esempio Google Analytics giusto per citare uno tra i più diffusi).
Chiaramente no, neanche il sito ecommerce più irrilevante la considererebbe un’opzione.
Un sistema di Analytics fornisce metriche sempre più approfondite e articolate; ci dice quanti accedono al sito, cosa vedono, in quali giorni, in quali orari, da dove, con quale device, quali ricerche hanno fatto, quanto rimangono sul nostro sito, se sono uomini donne, in che fascia d’età e via discorrendo… ci spiega in dettaglio chi sono i nostri clienti, cosa si aspettano e se apprezzano le nostre iniziative e i nostri prodotti.
E allora, “ceteris paribus”, perchè per sviluppare il 15,5% (in media) di fatturato le riteniamo fondamentali e per il restante 84,5% ci limitiamo magari ad aggregare le statistiche sul venduto, o ad usare un banale contapassi?
Per logica e per disponibilità di budget dovremmo prima di tutto preoccuparci di presidiare quell’84,5%, studiarlo, proteggerlo, se possibile capirlo e svilupparlo in una prospettiva “customer oriented”, come facciamo normalmente sul sito ecommerce.
E allora perchè succede ancora così timidamente tra i grandi retailer?
Tralasciando tutti i motivi secondari, per due ordini di motivi.
1 – implementare un sistema di analytics su un sito ecommerce è relativamente economico.
E’ un calcolo semplice: se per implementare una strategia data driven online devo spendere anche molto, assumere specialisti, consulenti, investire in piattaforme etc, il centro di costo è unico, il suo impatto sul ROI si confronta interamente con quel 15,5% di ricavi, presumibilmente in crescita.
Per inverso il monitoraggio di ogni singolo store fisico non è centralizzabile, ha dei costi interni e l’investimento complessivo è, come minimo, la somma di quelli di ogni singolo store, per questa ragione è fondamentale che il costo di adoption e di possesso per singolo store sia sufficientemente basso da essere confrontabile, una volta aggregato, con quello online, in base a una proporzione sui livelli di fatturato complessivo e tenendo anche conto dei vantaggi addizionali derivanti dall’unione dei due dataset all’interno di un unico ecosistema di Business Intelligence integrato.
Facciamo un esempio, didascalico:
Se il mio fatturato complessivo è 100, e gli Analytics contribuiscono in maniera decisiva a produrre un più 4,4% medio di incremento annuale sull’online, la soglia di utilità del mio investimento dovrà restare il più ampiamente possibile sotto il 2-3% di quel 15,5% di fatturato online, per garantire un ROI positivo.
Il retailer razionale sarà disposto ad investire una cifra massima compresa tra 0,31 e 0,465.
Se il mio fatturato complessivo è 100, e i Retail Analytics contribuiscono in maniera decisiva a produrre un più 2-3% medio di incremento annuale in ambito Retail, la soglia di utilità del mio investimento dovrà restare il più ampiamente possibile sotto l’1-2% di quel 84,5% di fatturato, per garantire un ROI positivo.
Il retailer razionale sarà disposto ad investire una cifra massima compresa tra 0,845 e 1,69.
2 – gli strumenti per produrre i dati non si sono dimostrati all’altezza
Chiarito il perimetro di rilevanza e valore di questa classe di strumenti il tema si sposta sulla disponibilità: esistono strumenti con un grado di maturità tale da garantire consistenza dei dati, costi totali di possesso inferiori ai livelli soglia del ROI, basso impatto sui processi e sui costi di infrastruttura garantendo al contempo leggibilità dei dati, tutela della privacy dei clienti, apertura verso ecosistemi tecnologici diversi, estendibilità del perimetro di intervento a contesti quali Smart Digital Signage ed esperienzialità, il tutto integrato in un’unica piattaforma?
Beh, a questa domanda non risponderò, perchè immagino lo abbiate fatto da soli.